Abbazia di San Salvatore Maggiore (Italian Wikipedia)

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  • Poiché il monastero del Salvatore era a ottomila passi da Farfa ed un passo equivale a poco meno di 150 cm, San Salvatore Maggiore si trovava a circa 12 km da Farfa (cfr.Mabillion, 740, Anno Christi 740, Liber Vicesimus-primus, pag.103). (LA) Jean Mabillon, Liber vicesimus-primus, Anno 740, in Annales Ordinis S. Benedicti Occidentalium monachorum Patriarchae, Tomo II (701-849), Parigi, 1703-1739, p. 103.

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  • Schuster, pag.405.
    «[...] giacché fin dall'undecimo secolo l'abbate Landuino si rivolgeva ad Ugo abbate di Farfa per ricercare in quel tabulario i documenti relativi alla loro mutua famiglia.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.397. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Studi più recenti tendono ad escludere che la via Caecilia, la cui esistenza venne acclarata dal rinvenimento della lapide di Porta Collina nel 1873, passasse attraverso l'altipiano tra le vallate del Turano e del Salto. cfr. Silvia Barbetta, La via Caecilia da Roma ad Amiternum, in G. Paci. e E. Catani (a cura di), La Salaria in età antica, Atti del convegno, Ascoli Piceno - Offida - Rieti 2-4 ottobre 1997, Roma, 2000, pp. 47-64. e Filippo Coarelli, Via Caecilia e Via Salaria. Una proposta, in Archeologia Classica, Vol. 67, L’Erma di Bretschneider, 2016, pp. 215-232. Questi studi non escludono tuttavia che una strada romana che collegasse le due valli esistesse. Non doveva trattarsi, però, della via Caecilia. cfr. Andrea Staffa, La viabilità romana nella valle del Turano, in Xenia, n. 6, 1983, pp. 37-44. e Elvira Migliario, Viabilità antica e Alto Medioevale. La rete stradale del Cicolano e i suoi collegamenti con la valle del Turano e con l'Amiternino, in Uomini, terre e strade: aspetti dell'Italia centroappenninica fra antichità e alto Medioevo, vol. 1, 1995, pp. 74-87.
  • Schuster, pag.395.
    «cfr. Reg. Farf. II, 12 "Anno DCCXXXV, indictione III, coenobium Domini Salvatoris aedificatur in Laetaniis"
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.395-396.
    «Ho già trattato altrove delle condizioni giuridiche dei monasteri imperiali d'Italia nel periodo carolingio, facendo derivare lo «ius palatii» sulle badie palatine dal patronato longobardo sugli edifici cultuali e dal mundio regio o ducale che gravava sui guargangi, stranieri alla città longobarda. Infatti, il più delle volte l'imperialismo monasteriale costituisce l'ultimo termine dell'evoluzione giuridica degli istituti sacri nel regno dei Longobardi, onde non sarebbe un'ipotesi troppo arrischiata se, in mancanza d'altri documenti, dal carattere imperiale di San Salvator Maggiore noi attribuissimo la fondazione a qualche nobile guargango franco, o a qualche esule monaco savoiardo, o dell'Aquitania venuto a pellegrinare in Italia. Anche Farfa, per oltre un secolo, reclutò i suoi primi abbati tra questi nobili rampolli delle più celebri famiglie franche, sospinte in Italia più ancora dalla devozione e dalia poesia che dalla guerra, che desolava il loro paese; ed è notevole che i monasteri fondati da quegli esuli guargangi abbiano ritrovato nel mundio regio o ducale le condizioni più favorevoli per raggiungere un alto grado di potenza e di ricchezza, mentre gli altri fondati da cittadini longobardi, e quindi immuni dalia tutela del sovrano, non hanno lasciato quasi traccia della loro breve esistenza. Farfa, San Salvatore, Sant'Andrea sul Soratte, San Vincenzo al Volturno, Monte Cassino sono tutti monasteri eretti o risuscitati da guargangi e che perciò vennero considerati come palatini ed imperiali, mentre San Pietro di Ferentillo tuttoché fondato dal duca Faroaldo di Spoleto, San Pietro di Classicella eretto dal duca Trasmondo per sua madre, San Giorgio di Spoleto, fondato dai duchi Lupo ed Ermelinda, per non dire di molti altri, non poterono mai giungere a tale grado d'onore e di potenza.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.395.
    «La collina tra Longone e Vaccareccia, su cui s'eleva la badia, nei documenti del secolo VIII chiamata «Laetenanum» o «Boianum», doppia nomenclatura che indicava forse la località e il «fundus» a cui apparteneva.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Nel 1897 l'avvocato reatino Michele Michaeli riportò il testo della lapide di Sesto Tadio nel capitolo dedicato alle "Antiche Iscrizioni Reatine" ricordando come anche Pirro Ligorio nel XVI secolo ne avesse copiato il testo ricordandola come "In Abbatia S. Salvatoris, octavo ab Reate Lapide"(cfr. Michele Michaeli, Memorie storiche della città di Rieti e dei paesi circostanti dall'origine all'anno 1560, Rieti, Tipografia Trinchi, 1897, p. 121.). Poiché un miglio equivale a mille passi ovvero a 1482 metri, 8 miglia equivalgono a circa 12 km è curioso quindi come, per le fonti, San Salvatore Maggiore distasse da Farfa tanto quanto distava da Rieti mentre Farfa dista 22 km in linea d'aria cioè ben oltre i circa 16 km, sempre in linea d'aria, che separano Rieti dall'abbazia del Salvatore.
  • Chisari.
    «La ricca biblioteca di Farfa, che custodisce preziosi documenti, conserva anche il testamento di tale Teuderacius (RF II,72) che, dovendo partire per la Lombardia al seguito di Adelchi e di Desiderio nell'anno 768, dispone dei suoi beni per il caso che non torni dalla guerra contro i Franchi. Gran parte delle sue proprietà sono destinate a Farfa, ma al monastero del Salvatore attribuisce "casalem nostrum in Villa Veneria, quem habemus prope Alipertum et Teuderadum germanos, cum terris et silvis in intergrum".»
    cfr. Schuster, pag.398 Giuseppe Chisari e Carlo De Paolis, L’Abbazia di San Salvatore Maggiore, in “Tra le abbazie del Lazio”, in Lunario Romano, Roma, F.lli Palombi Editori, 1988, pp. 111-126. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.399-400. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.401.
    «: [...] Da una lettera di Alcuino al monaci del Letenano rileviamo che la fama della loro osservanza monacale era celebre anche al di là del monti, giacché il potente maestro di Carlo Magno dopo d'aver sollecitato una prima volta in suo favore le loro preghiere per mezzo dell'arcivescovo Algiramno di Metz (m. 791), qualche anno dopo scrisse una nuova lettera in termini assai affettuosi, in cui, facendo gli elogi della loro vita, li esorta a rendersi sempre pii degni del titolo di «monachi Sancti e Salvatoris», come si chiamavano. I cenobiti del Letenano non mancarono da parte loro di trarre profitto delle benevole disposizioni d'Alcuino, giacché dalla medesima lettera sappiamo che gli avevano spedito un messo a cagione d'alcuni negozi che avevano, con Carlo Magno, e che il maestro aveva interposto già in loro favore ad opera dell'imperatrice Liutgarda»
    . Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Chisari.
    «Schuster giustifica il doppio importante donativo con l'esistenza di due chiese nel monastero del Salvatore: una dedicata appunto al Salvatore la cui ricorrenza era ricordata il 16 Kal. febr., l'altra intitolata a S. Pietro e ricordata il 4 Kal. oct. .»
    cfr. Schuster, pag.407. Giuseppe Chisari e Carlo De Paolis, L’Abbazia di San Salvatore Maggiore, in “Tra le abbazie del Lazio”, in Lunario Romano, Roma, F.lli Palombi Editori, 1988, pp. 111-126. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.408.
    «[...] in quel periodo di traslazioni dei corpi dei martiri inaugurato da Paolo I e poi seguito sotto Pasquale I, quando, a cagione dell'abbandono dei cimiteri suburbani, papi, vescovi ed imperatori s'affrettarono a chi potesse più arricchire le proprie chiese di sacre reliquie, anche i monaci di San Salvatore ebbero la loro parte in quelle pie devastazioni delle Catacombe ed ottennero il corpo del martire Ippolito, già sepolto in una speciale basilica nell'agro Verano
    Per tale motivo nel monastero si festeggiava anche il 9 maggio come la data della traslazione del corpo di S. Ippolito martire. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.407. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.409-410. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.410. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.410-411.
    «Tanta generosità da parte di Ludovico II, stremato altresì di forze e di danaro, ha pure il suo caratteristico retroscena che ci fa meglio intendere lo scopo delta sua visita a Farfa e delta presenza colà delle due comunità monastiche. Infatti, dall'anonimo libello «De imperatoria potestate in Urbe» rileviamo il vero significato del carattere imperiale di Farfa, di San Salvatore e del Soratte, che, perdutosi di vista l'antico concetto del guargangato e del mundio longobardo, era divenuto un semplice titolo fiscale che attribuiva alla Corona l'alto dominio sul patrimonio monastico il che praticamente significava che questi monasteri avevano l'alto onore di fare le spese della corte imperiale durante il suo soggiorno nel ducato romano, oltre le altre derrate e tributi che dovevano spedire sino in Francia.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.412.
    «Ignoriamo le circostanze dell'assalto dei Saraceni alla badia e dell'incendio che vi appiccarono circa l'anno 981. I Fasti farfensi contengono solo di seconda mano quest'arida notizia: «Anno DCCCXCI, md. Iuli, «Guido imperator monasterium Salvatoris a paganis «incenditur» (RF Far. II, 15) ma è probabile che i monaci, dietro l'esempio dei Farfensi, abbiano preveduto a tempo il pericolo ponendosi in salvo nella Marca e nel Reatino, dove il loro patrimonio è ricordato in una carta del 3 ottobre 936.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.413. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.413) Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Skinner, Le donne nell'Italia medievale, 2005 pag.118
  • Schuster, pag.403-404.
    «[...] Cosi un po' alla volta il patrimonio territoriale venne ad ingrandirsi considerevolmente, tanto che troviamo estendersi il suo possesso non pur in Sabina, dove possedeva, in condominio coi Farfensi, Arci, l'intera Celia Nova, delle terre a Quinto, il Gualdum «Novum Mizinum», Formello reatino, l'enfiteusi del casale «Sepicianum», le chiese di San Giovanni a Rieti, Sant'Andrea, Santa Maria di Poggio Moiano, San Giovanni «de Toche», San Giuliano «prope Tiberim», la «curtis» di San Pietro in Meana, dei beni a Terni e negli Abruzzi, un gran numero di «pagi» in Sabina, donde poi sorse la diocesi di San Salvator Maggiore, e una quantità di castelli, monasteri e borgate nella Marca di Fermo. In seguito passarono a San Salvatore quasi tutti i possedimenti dei Farfensi nelle Marche (cf. Synodus edita sub Carolus Barberinus, pp. 999-1023).»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.405.
    «Il Salvatore aveva beni e vassalli entro la «massa de Bucciniano» a un trarre d'arco da Farfa, mentre questa possedeva il castello di Longone, di Malialardo, i pagi di Senia, Celia Nova e San Benedetto quasi alle porte di San Salvatore. Verso il 1017 l'abbate Ugo propose a Landuino, abbate del Letenano, una permuta, in vista appunto della reciproca difficoltà che recavano loro l'amministrazione di quei possedimenti; ma nulla ci assicura che il suo corrispondente abbia secondato quei progetti. tra le due abbazie per evitare conflitti.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.396.
    «Ciò che è certo è che il monastero di San Salvatore Maggiore, favorito sin dai primordi dai gastaldi di Rieti, dai duchi di Spoleto e dai papi, nel secolo VIII possedeva già un patrimonio tanto vasto che, ad impedire una collisione coi farfensi, i quali aspiravano a dilatarsi nell'Umbria e nelle Marche, convenne stipulare degli accordi e delle permute di fondi, di cui il Regesto Farfense ci ha conservato soltanto qualche carta.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • cfr. Schuster, pag.401 su una lite dell'807 risolta a Rieti dal Gastaldo Lupo tra l'abate Benedetto di Farfa e l'abate Leufo di San Salvatore Maggiore per l'attribuzione di una proprietà che entrambi rivendicavano come propria. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.405.
    «Nelle carta di Farfa i beni di San Salvatore appariscono tutti frastagliati e intersecati da quelli farfensi, e l'osservare che raramente sorsero tra le due badie dello contestazioni a cagione di tale vicinanza, è la miglior conferma dello tradizionali relazioni di antica amicizia che ci descrive l'abate Ugo di Farfa. Libero ognuno d'estendere quanto più potesse i propri domini senza pregiudicare all'altro, farfensi e salvatoriani s'intesero a meraviglia insieme per più secoli.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.401.
    «Nonostante la distanza ed il cammino disastroso che le separava, le due comunità si erano sempre considerate come un'unica famiglia, cosi che spesso si scambiavano delle visite reciproche, specialmente in occasione dello feste più solenni, e concedevano assai facilmente ai loro monaci il passaggio dall'uno all'altro monastero (RF V). L'uso dei Farfensi di trasferirsi d'estate sulle alture del Letenano si é conservato sino a quest'ultimi tempi, ma all'infuori della notizia contenuta nel documento citato non sapevano nulla della consuetudine dei monaci del Salvatore di trascorrere a Farfa una parte dell'inverno, onde sfuggire si rigori del freddo. (Cfr. Episitula ad Dominum Landuinum venerab. abb. monast. Domini Salvatori»
    ). Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.414.
    «Verso la fine del secolo X le relazioni tra i] monastero di Farfa e di San Salvatore furono più intense che mai, in grazia soprattutto del celebre abbate Ugo I, che strinse amicizia col nostro Landuino. [...] Fu verso il 1014 che Ugo I rientrato in possesso dei castelli abbaziali di Tribuco e di Bocchignano, già occupati dai Crescenzi, ottenne da Benedetto VIII il «districtum et placitum» su quelle terre, come l'esercitavano altra volta i «Comites» di Sabina. Altri vasti possedimenti del monastero di San Salvatore a San Pietro di Alearia, rientrando nella circoscrizione comunale di Bocchignano, sarebbero stati perciò soggetti all' abbate di Farfa, ma Landuino, giovandosi delle sue buone relazioni con Ugo, lo pregò a concedere ai suoi vassalli di quelle torre un ampio privilegio di larga esenzione, perché non riconoscessero altra autorità all'infuori di quella di San Salvatore. Ugo, inteso a favorir l'amico, acconsenti, e nell'agosto 1018 emanò un Costituto, in cui esimeva dalia giurisdizione di Farfa i coloni di Meana, tranne il caso che dovesse rilevarsi II «fodro» per l'imperatore. L'abbate farfense inoltre si obbligò a difendere i vassalli del Salvatore, come i suoi propri, ma Landuino a sua volta accondiscese che essi venissero iscritti tra i castellani di Bocchignano, adempiendo fedelmente all'obbligo di montar la guardia alla fortezza e di prestare omaggio di fedeltà all'abbate di Farfa, come suoi veri sudditi feudali. In caso di delitto, d'adulterio, stupro, omicidio, incendio o tradimento della piazza forte, i coloni di Meana dovevano sottostare al tribunale dell'abbate di Farfa, ma quello del Letenano aveva diritto d'assistere in persona o per mezzo d'un messo; ad ogni modo egli ritirava la metà delle multe.»
    , Schuster, pag.415.
    «L'atto generoso di Ugo fu approvato a maggioranza di voti dai suoi monaci, il che formò motivo a Landuino di stringere sempre più i vincoli d'antica amicizia che univano le due grandi badie imperiali, incaricando il Farfense di farne delle ricerche in proposito in quel copioso archivio. Ugo gli rispose dopo qualche tempo, annunciandogli l'ottima impressione prodotta nella comunità per quel loro accordo. Quanto alle ricerche istituite, dalle «cartas, tomos sive membrana, nostrae ecclesiae autentica munimina et antiquissima» risultava che sin da principio tra Farfa e San Salvatore era esistita una corrente di mutua simpatia, tanto che era assai facile al monaci il passaggio dall'una all'altra comunità. D'estate quei di Farfa solevano recarsi in gran numero sulle alture del Letenano, mentre d'inverno i Salvatoriani scendevano nel piano lambito dal garrulo fiume Farfa, ove le due comunità trattavansi con ogni riguardo di familiarità ed amicizia.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.415-416.
    «La presenza dell'abbate Anastasio a Farfa quando Lodovico II neIl'872 visita la badia, aveva fornito l'occasione che l'imperatore comprendesse in un unico diploma, concesso in comune agli abati Giovanni farfense ed Anastasio, la conferma dei rispettivi patrimoni abbaziali; e infatti la storia dello svolgimento della potenza territoriale farfense dimostrava che mai era sorto alcun alterco coi monaci del Letenano a cagione d'interessi pecuniari e amministrativi. Lo stato di Farfa si prolungava sin quasi alle porte stesse di San Salvatore ove possedeva Longone, San Benedetto, Malialardo, Celia Nova e Lesenie, ma questi beni che facevano parte del patrimonio farfense sin dall'VIII secolo intralciavano l'amministrazione della badia che difficilmente poteva sorvegliare la loro coltivazione a cosi grande distanza. San Salvatore si trovava nelle identiche condizioni, onde Ugo I terminò a sua lettera a Landuino richiedendogli se una permuta di quei fondi non fosse vantaggiosa ad entrambi (Non sappiamo nulla se Landuino abbia aderito alla proposta, ma ne dubitiamo assai, giacché in un elenco dello usurpazioni subite dai monaci di Farfa e presentato verso iI 1116 a Pasquale II, ritroviamo ricordati gli stessi possedimenti descritti da Ugo nella sua lettera a Landuino).»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.406. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.417.
    «Talora però monaci da oppressi divenivano alla loro volta invasori, in ispecie quando si trattava dei diritti episcopali che cercavano d'eludere e di diminuire coi loro privilegi papali, a col dilatare i loro possedimenti, immuni per legge dalia giurisdizione episcopale. In un tempo quando i rispettivi diritti s'intralciavano e si collidevano a vicenda, non era difficile che tra gli episcopi e le badie sorgessero delle aspre contestazioni patrimoniali, che si protraevano acremente per lunghi anni. La storia di Farfa offre più d'un esempio di queste liti, non di rado selvagge, ove le parti sostenevano a mano armata la causa loro, incendiando, saccheggiando e menando strage del territorio dell'altra. La storia dei litigi fra Pietro, vescovo di Abruzzo e l'abbate di San Salvatore, anch'esso di norne Pietro, è rimasta tristemente famosa. Ci rimangono solo i documenti da parte del vescovo. Nel 1057 in un placito raccolto nello stesso cenobio controverso alla presenza di Eniardo «missus» imperiale, e dei vescovi Bernardo di Vicenza ed Ottone di Novara, cancelliere dell'imperatore, l'abate fu costretto a cedere alle ragioni del vescovo Pietro.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.418-419.
    «In una lettera di san Pier Damiani (1007-1072) al cardinale IIdebrando a proposito del suo libro «Gomorrianus», rileviamo che Alessandro II, ad impedire la diffusione di questo scritto, alta presenza dell'autore simulò di voler consegnare il codice all' abbate di San Salvator Maggiore perché glielo facesse trascrivere. II Damiani, non sospettando di nulla, diede il manoscritto porche se ne prendesse copia nel monastero del Letenano, ma invece nella notte seguente il pontefice fece trasportare il codice negli archivi papali, lasciando che l'autore minacciasse e protestasse a suo grado contro quel tradimento orditogli in nome dell'amicizia. Non è forse senza importanza che Alessandro II, mentre in Roma non mancavano delle buone scuole calligrafiche, sia ricorso all'abbate del Salvatore per far copiare il Gomorriano, e la meraviglia cresce quando si riflette che una particolare famiglia di martirologi rappresentata da uno già in uso a Monte Cassino, a S.Maria in Trastevere a Roma, a San Ciriaco in Via Lata e altrove dipenda da un archetipo del monte Letenano. Non è il caso da questi scarsi elementi di giungere subito sino ad intuire una speciale scuola Salvatoriana che avrebbe diffuso in tutto il ducato romano il culto delle lettere e delle arti, ma certo qualche cosa pur vi dove' esser, quantunque ora per noi sia impossibile di determinarne le condizioni.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.426-427.
    «II 24 aprile 1221 un'altra bolla di Onorio III (1216-1227) all'abbate Ranuzio di San Salvator Maggiore venne a garantire nuovamente i possedimenti del monastero a cui da tutte le parti si tendevano insidie. Vi si confermano in particolare i beni abbaziali situati nel Reatino tra i flumi Salto e Turano, dal rivo Paganico alla pianura di Rieti coi castelli di San Martino, Poggio Sant'Angelo, Palerofo e Campolanio; tra le dipendenze salvatoriane a Roma sono ricordate le chiese di San Salvatore «de Dompni Campo» e di San Martino «in Panerella» nel rione Arenula; in Sabina vengono confermati i monasteri di San Giuliano, di San Giovanni in Tocia, di Sant'Andrea, San Vittore, Santa Maria a Poggio Moiano; nel vescovado di Rieti la chiesa di San Giuliano a Trebula, il monastero di Santa Cecilia, di San Salvatore «in Vacungno», Sant' Angelo «in casa muca» col suo castello, il cenobio di San Paolo in Roiano e di San Bartolomeo «in Scopeto». Nella Marsica San Salvator Maggiore possedeva il monastero di Santa Maria «in Valle Maeculana» e di San Salvatore in Paterno. Nella diocesi di Furcona quello di Sant'Angelo de Mera, oltre un'altra lunga lista di beni nella diocesi di Valva
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.428 in nota.
    «Già le lotte tra il pontefice e Federico II avevano avuto il loro contraccolpo anche negli stati badiali di San Salvatore, quando il 7 aprile 1249 Innocenzo IV da Lione scrisse ai monaci di «S. Salvatoris de Reate», annunziando la legazione del card. Pietro di S. Giorgio, rettore della Marca e del Ducato, allo scopo di liberare i popoli di Sicilia oppressi da Federico. Il 15 aprile successivo il pontefice concesse al legato facoltà di esercitare il proprio ufficio anche sul territorio dell'abbazia di San Salvator Maggiore.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Giuseppe del Giudice, Codice diplomatico del regno di Carlo I e II d'Angiò, Napoli, Stamperia della Regia Università, 1863, p. 213.
  • Giuseppe Del Giudice, La fuga e la cattura dopo la battaglia dei Campi Palentini, in Don Arrigo infante di Castiglia: narrazione historica con note e documenti, Napoli, Stamperia della regia università, 1875, pp. 70-72.
  • Maria Caprioli, Lo statuto della città di Rieti dal secolo XIV al secolo XVI, Roma, Istituto Palazzo Borromini, 2008, pp. 75, 98.
  • Schuster, pag.428. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.429.
    «A Filippo dopo qualche anno successe nel governo l'abbate Pietro, il quale ad ogni modo non sedé a lungo, giacché il 28 novembre 1307 già era morto il suo successore a nome Cambio. I capitolari allora entrarono in trattative per ottenere che Francesco, abbate di Subiaco, passasse a San Salvatore, e a tale scopo inviarono a Poitiers alla corte di Clemente V (1305-1314) il monaco Bonus-Iohannes, perché vi trattasse di questa traslazione.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.429 in nota.
    «II candidato, di costumi feroci e d'animo prepotente, venne cacciato da Subiaco verso lI 1303, senza tuttavia che egli rinunziasse mai ai suoi pretesi diritti su quella badia. Gli stessi sublacensi non sanno nulla di queste trattative di Francesco coi monaci di San Salvatore, ma gli intrighi del sedicente abbate si spiegano bene quando si tiene conto che essendo succeduto a Subiaco un amministratore apostolico, Nicola da Mileto, Francesco, sentendosi vacillare il suolo sotto i piedi, mediante la candidatura di San Salvatore, cercò d'avere, come dicesi, il piede in due staffe, assicurando la sua posizione.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.429-430.
    «Il messo tuttavia disbrigò si bene quest' affare, che il papa, considerando anche lo stato del monastero, «in suis facultatibus et viribus non modicum diminutum» (ndr. it. assai decaduto nelle sue facoltá e diritti) cassò l'elezione dei monaci e lo creò abbate, facendolo consacrare dal cardinal Nicola, vescovo d'Ostia e Velletri. In data del 28 novembre di quest' anno (ndr.1307) Clemente V indirizzò a tale riguardo tre lettere, all'eletto, al capitolo dei monaci e ai vassalli, perché accogliessero colla dovuta ubbidienza il nuovo abbate, e l'aiutassero nel sollevare le sorti dell'avvilita badia.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.430.
    «Il 10 gennaio successivo (ndr. 1308) ritroviamo Bonus-Iohannes ancora a Poitiers, ove in questo giorno ratificò alla Camera Apostolica e al Collegio dei Cardinali il debito di 400 fiorini d'oro (ndr. la rendita dell'abbaia era di 200 fiorni d'oro l'anno. cf. Leggio (2022)) e 5 «servitia» lasciato insoluto dai suo predecessore Pietro, e si obbligò, inoltre, a pagare per suo conto altri 100 fiorini e 5 «servitia» sino alla festa d'Ognissanti. L'odioso sistema fiscale introdotto da Clemente V era tutt'altro che fatto per risollevare San Salvatore al primitivo splendore; ma non contò nulla, e Bonus-Johannes, se volle mettersi al sicuro contro i fulmini della scomunica che gli ufficiali della tesoreria pontificia lanciavano con un'audacia pari alla loro leggerezza, dové di tanto in tanto inviare il suo gruzzolo a Clemente V, mentre proprio ce ne sarebbe stato estremo bisogno sul Letenano che, per concessione stessa del papa, era assai decaduto nelle sue facoltà e diritti. Bisogna tener conto di tutte le altre contribuzioni imposte dai papi avignonesi alle chiese e ai monasteri, alle decime per le vare guerre, ai «subsidia», alle riserve e alle aspettative dei benefici vacabili per comprendere tutto il danno che cagionarono alla Cristianità da queste forzate contribuzioni pecuniarie.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452. Tersilio Leggio, La Sabina e il Reatino. Un mosaico di signorie rurali (PDF), in La signoria rurale nel Lazio tardomedievale, Universitalia, 2022, pp. 91-164, ISBN 978-88-3293-582-0.
  • Schuster, pag.431.
    «Il governo di Bonus-Iohannes fu tra i più agitati che conti la storia. Il Comune di Rieti, d'accordo con i nobili dei dintorni, istigò dapprima la ribellione fra i vassalli del monastero, indi, dopo essersi impadronito violentemente del castelli badiali che sorgevano nel territorio reatino, strinse una convenzione cogli abbaziali perché all' ombra del Comune si scuotessero di dosso l'inviso giogo di San Salvatore. Colle idee che già bollivano in quei capi di montanari non vi volle molto ad aizzarli alla rivolta, e rafforzare le loro file da altre turbe di mercenari, corsero in armi sul monte Letenano minacciando ai monaci l'ultimo sterminio. L' assedio durò due giorni, ma alla fine quelle orde furibonde riuscirono a penetrare nel monastero attraverso le mura smantellate e vi rinnovarono le atrocità del Saraceni quattro secoli prima.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.432.
    «Insieme con le granaglie e le diverse derrate nel magazzini, quei forsennati appiccarono il fuoco anche al paramenti sacri della basilica, ai codici della biblioteca e alle carte dell'archivio che andarono distrutte: i monaci probabilmente si misero in salvo con la fuga, giacché non si ha alcuna notizia che venisse loro recato danno nella persona, ma il Comune di Rieti approfittò tosto di quel primo momento di sgomento per confiscare a proprio vantaggio quasi interamente lo stato abbaziale. Le castella vennero adunque concesse ai diversi capitani e agli ufficiali di Rieti e l'usurpazione violenta fu sostenuta innanzi al popolo con si valide ragioni in favore del Comune, che i suoi diritti su quelle terre sembrarono irrefutabili. I monaci tuttavia ricorsero a Clemente V che risiedeva allora a Poitiers, donde il 4 marzo 1308 diresse un breve a Pandolfo de' Savelli «praeposito chableyarum in ecciesia Sancti Martini Turonensis» e notaio apostolico, in cui, fatta la storia della controversia tra San Salvatore e il Comune di Rieti, gil ordina d'annullare le convenzioni stipulate tra i nobili e i badiali, con ordine ai Reatini di ritirare dentro un determinato tempo le loro soldatesche dai castelli del monastero.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.433.
    «Clemente V incaricó tosto a viva voce il cardinal Giovanni del titolo dei Santi Pietro e Marcellino, perché istituisse sul luogo un'inchiesta sommaria e ne riferisse poscia in concistoro. Furono chiamati a deporre parecchi testimoni, dai quali risultó che il monastero aveva sernpre esercitato giurisdizione cosi ecciesiastica che civile sui castelli di Mirandella, Lutta, Valle Cupola, Guaiata, Rocca, Poggio Vittiano, Longone, Insenie, Visiola, Vaccareccia, Malialardo, Villa de Ulmis, San Benedetto, Cripte, Porciliano, Licingiano, Genzalia, Rocca Raneria, Colcerviano, Pratoianne e Offedio, onde la relazione del cardinale fu interamente favorevole ai monaci. Clemente V comprese egregiamente tutta la difficoltà delle circostanze, giacché trattavasi di restituire a San Salvatore quasi intero il suo stato temporale contra le pretese dei potenti Reatini. V'era a temere che gli stessi monaci non avrebbero avuto la forza necessaria per esigere tale restituzione; onde, deliberata la casa in concistoro coi cardinali, il 15 giugno 1310 il pontefice ordinò al Comune l'immediata consegna delle usurpate castella all'abbate affidando l'esecuzione di questa sentenza a Napoleone Orsini e ai vescovi dei Marsi e di Valva. A garantire meglio i diritti di San Salvatore, il medesimo giorno scrisse a re Carlo d'Angiò, costituendolo «defensor» della badia.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Marchesi, pag.46. Sebastiano Marchesi, Compendio Storico di Cittaducale (dall'origine al 1592), Rieti, Tipografia Trinchi, 1875.
  • Schuster, pag.434-435.
    «Il Comune di Rieti venne costretto a restituire il mal tolto, ma i torbidi che durante questo periodo sconvolsero lo stato pontificio non poterono a meno di non ripercuotersi sulle sorti del cenobio che andò sempre scemando in dignità e potenza. Dopo l'esilio d'Avignone, alio scoppiare dello scisma d'Occidente, San Salvatore e Farfa associarono la propria fortuna a quella d'Urbano VI, e alla costui morte, quando nel 1389 gli successe Pietro Tomacelli (ndr. Bonifacio IX), i beni d'ambedue le badie fecero naturalmente le spese del nepotismo pontificio e della politica papale, che mirava a restaurare il proprio dominio nell'antico Patrimonio di S. Pietro. Francesco Carbone, già monaco cisterciense, indi vescovo di Monopoli e cardinale, doveva tener soggetta la Sabina e le Marche allo zio pontefice; onde dopo essergli state commesse delle importanti legazioni contro la regina Giovanna di Napoli, fu creato vescovo sabinese, vicario pontificio della Campania, Tuscia, Umbria e Sabina, commendatario di Farfa e di San Salvator Maggiore, penitenziere maggiore e arciprete della basilica Lateranense. A Todi, a Narni e a Foligno il Carbone ottenne dei successi assai importanti in favore dell'autorità pontificia, e sotto di lui anche le due abbazie sabine goderono d'una relativa tranquillità, senza essere più bersaglio di tutti i soprusi dei nobili della campagna reatina. A Farfa il Carbone cominciò l'opera di restauro della fabbrica della chiesa e del monastero, e in grazia sua i pellegrinaggi tornarono nuovamente ad affluire lungo le garrule rive del «Farfarus» oraziano.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.437.
    «L'autorità della badia si era molto ristretta anche in Sabina, ove i monaci vivevano ristretti tra le mura del cenobio senza più esercitare alcun influenza sociale sul popolo. infatti sin dal 1399 Bonifacio IX aveva trasferita la dignità abbaziale nel proprio nipote Francesco Tomacelli, monaco cisterciense, che creò primo commendatario del monastero di San Salvatore.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.435.
    «Ma così a Farfa che a San Salvatore il rimedio veniva troppo tardi; per colpa d' un complesso di circostanze, la stessa vita cenobitica vi s' era come secolarizzata, per non avere altro scopo che di custodire il censo e la posizione sociale acquistata nei primi secoli del medio evo. Onde nonostante tutte le commende e le troppo interessate protezioni della Curia, sembrava che pei due cenobi si fosse inaugurato come una specie di ridente autunno che prelude tristamente al gelido novembre, quando all'infuriar dei venti gli alberi si dispogliano delle foghe ingiallite. Prima della rovina definitiva di San Salvatore precedé quella delle sue dipendenze.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Marchesi, pag.127. Sebastiano Marchesi, Compendio Storico di Cittaducale (dall'origine al 1592), Rieti, Tipografia Trinchi, 1875.
  • Schuster, pag.437.
    «Alessandro VI unì in perpetuo la commenda di San Salvatore a quella di Farfa, di cui era investito il cardinal Gian Battista Orsini che fini i suoi giorni in Castel Sant' Angelo; indi Sisto V sottrasse ai commendatari la giurisdizione civile sulle terre del monastero che attribuì invece alla Camera Apostolica»
    . Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Sperandio, pag.146. Francesco Paolo Sperandio, Capitolo VIII - Della Diocesi di Sabina e della Badia di Farfa - 7. Farfa, in Sabina sacra e profana, antica e moderna, Roma, 1790, pp. 143-149.
  • Schuster, pag.440-441. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.438-439.
    «La disciplina monastica v'era già decaduta da lunghi anni, e i monaci, specialmente dopo che la commenda venne a togliere loro di mano ogni ingerenza e responsabilità nel governo dello torre abbaziali, vennero a rattrappirsi d'ozio e di noia entro quel vecchio edificio screpolato e cadente, senza alcun ideale elevato, senza alcuna prospettiva dinanzi a loro. Verso il 1609 lo zelante cardinale Alessandro da Montalto, caldo ammiratore della riforma di Farfa per opera della Congregazione Cassinese, tentò d'indurre i monaci ad accettare anch'essi un piano di riforma monacale, ispirato bensì alla disciplina dei Cassinesi, ma senza alcuna incorporazione della badia a quella Congregazione. Ottenutane pertanto licenza da Paolo V, con facoltà di rimandar con Dio i recalcitranti, il commendatario si pose all'opera che sulle prime non mancò di dare ottime speranze. Alcuni se ne ritornarono alle loro case con una discreta pensione, ma la maggior parte vi si adattò alla meglio, cosi che il Montalto ottenne da Paolo V un breve del 18 novembre 1614, col quale il pontefice incorporava alla Congregazione Cassinese oltre la badia di San Salvator Maggiore, i priorati da essa dipendenti nelle Marche e a Roma. L'uditore generale della Camera Apostolica coi vescovi di Fermo e di Montalto vennero incaricati di eseguire la volontà pontificia, la quale tanto più stava a cuore al commendatario, perché tutte le rendite e la collazione dei benefizi ecclesiastici della badia venivano sottratte a qualsiasi ingerenza dei monaci e riservate a lui solo. Non sappiamo con quali criteri venisse eseguita la divisione patrimoniale delle due mense, del cardinale e dei monaci, ma rileviamo da una bolla di Urbano VIII che la riforma in realtà non comprese che San Salvatore ed uno dei priorati dipendenti. Avvenne intanto che al Montalto nel 1623 successe Francesco Orsini, il quale, tolto il pretesto che l'annessione della badia alla Congregazione ledeva i suoi interessi, e che la bolla del novembre 1615 era invalida, giacché non era stato interpellato in proposito, mentre II Montalto gli aveva ceduto la successione alla commenda fin dal 1613, fece revocare l'atto pontificio da Gregorio XV, suscitando cosi una lite con la Congregazione Cassinese che durò per oltre una trentina d'anni.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.442.
    «Dopo cinque anni di governo, nel 1627 il commendatario Francesco Orsini entrò nella Compagnia di Gesù, e gli succedé il cardinale Francesco Barberini, nipote di Urbano VIII che resse la badia dal 1627 al 1660, quando abdicò in favore del proprio fratello Carlo. Fu appunto sotto Francesco Barberini che suonò l'ultima ora pel troppo decaduto San Salvatore; giacché essendosene partiti i Cassinesi, i priori triennali che ne moderarono le sorti non valsero a riformare i monaci, che usavano financo vesti poco diverse da quelle dei secolari. Il popolo li chiamava «berrettanti» dal largo berretto clericale che li distingueva, ma Urbano VIII ne aveva un concetto cosi triste, che li giudicava inadatti a qualsiasi riforma. È vero che la bolla di Paolo V nel 1615 conteneva come una smentita anticipata all'opinione avversa dei Barberini, ma v'erano in giuoco troppi interessi, troppi calcoli pecuniari, perché si potesse realmente volere il restauro morale di San Salvatore. Il commendatario ne voleva ad ogni costo le pingui rendite, e innanzi alle cupide brame del cardinal nepote convenne cedere, cosi che Urbano VIII con un tratto di penna soppresse l'abbazia (che i 34 monaci che ancora facevano parte della comunità venissero secolarizzati, previo l'assegno dell'annua pensione di 10 scudi. I priorati dipendenti nelle diocesi di Fermo e di Montalto dovevano essere convertiti in altrettante collegiate canonicali, riservando alla diretta giurisdizione del commendatario le monache di Santa Vittoria, che altra volta dipendevano dal priore di quel cenobio; ma perché il servizio parrocchiale non ricevesse danno dalia mancanza dei Salvatoriani, in ciascun monastero è stabilito un vicario abbaziale coll'assegno annuo di 60 scudi, oltre un fondo speciale pel mantenimento degli edifici sacri. Alla lite già lunghi anni pendente colla Congregazione Cassinese viene imposto silenzio cosi che arbitrati, sentenze di Tribunali, decisioni rotali o pontificie, nulla insomma possa essere invocato contro l'onnipotente cardinal nepote, il quale dové ereditare senza disturbo d'alcun competitore tutta la potenza, i diritti e le ragioni dell'abbazia.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.438.
    «Quando nel 1627 Urbano VIII conferì la doppia commenda a suo nipote Francesco Barberini, con due brevi del 7 ottobre 1627 e 21 luglio 1628 lo creò in pari tempo governatore pontificio di Poggio Mirteto e delle altre torri e castelli, già separati dai monasteri di Farfa e di San Salvatore e fino a quel tempo soggetti alla Congregazione del Buon Governo e della Consulta. La potenza dei nobili congiunti del papa trovò cosi nella Sabina un solido appoggio e una fonte punto dispregevole di danaro; ma queste mire ambiziose non fecero che affrettare l'ultima ora della povera badia, onde San Salvatore, che aveva retto all'impeto dei barbari, ora non poté reggere all'urto dei Barberini che avidamente agognavano alle sue spoglie.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.444-445.
    «Del resto delle rendite, giusta la bolla del 1629, avrebbero dovuto fondarsi alcuni seminari per l'educazione del giovane clero abbazia, ma il disegno presto svanì; il breve de 1632 ne fece deporre del tutto il pensiero con tutto ciò l'idea del seminario abbaziale che era stato il genio nefasto che aveva ispirato la rovina di San Salvatore al cardinal Barberini, seguitò ancora per lunghi anni a turbare i quieti sonni dei commendatari. In sul principio il Barberini ne apri uno a Toffia, poco lungi da Farfa, nelle case del suo vicario generale Marco Ruffetti, e lo dotò in parte coll'eredità lasciatagli a tale scopo dal vicario, in parte coi proventi rilevati sui benefici ecclesiastici della Commenda, aggiungendovi da ultimo la famosa «quadam residua portione reddituunt mensae convertualis» (rimanendo intatta, s'intende, quella assai più pingue del commendatario) «Monasterii Sancti Salvatoris Maioris» (ma il resto dov'era andato?) e a San Salvatore si contentò di stipendiarvi un vicario foraneo e un sacerdote che v'insegnasse grammatica ai futuri candidati del seminario. Un breve d'Urbano VIII del 6 luglio 1637 approvò questo stato di cose, che poi nel sinodo farfense del 1685 venne nuovamente confermato dal cardinal Carlo Barberini e da tutta l'assemblea;»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Sperandio, pag.144. Francesco Paolo Sperandio, Capitolo VIII - Della Diocesi di Sabina e della Badia di Farfa - 7. Farfa, in Sabina sacra e profana, antica e moderna, Roma, 1790, pp. 143-149.
  • Schuster, pag.445.
    «Nel 1746 il cardinale (1738-1769) trasferì il seminario presso la sede abbaziale di San Salvatore dove rimase sin verso il 1841, non mancando d'educare alla Chiesa degli ecclesiastici di gran merito e di scienza non comune.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • In quel sinodo nella Pars III al Caput VI (De seminario, ac de Ludi Magistris) vengono fissati il numero degli alunni (26 di cui 12 scelti dal territorio dell'abbazia di Farfa e 14, dai territori dell'abbazia di San Salvatore Maggiore) i requisiti per la loro ammissione, l'importo della fideiussione per la loro ammissione, le regole da seguire durante gli studi etc. etc. cfr. Synodus 1789, pag.127.
  • Giuseppe Rivera, L'invasione francese in Abruzzo, 1792-1799, Cerchio, L'Aquila, Studio bibliografico A. Polla, 1981, p. 115.
  • Lambruschini. Luigi Lambruschini, Regole pel seminario abbaziale de' chierici delle due abbazie unite di Santa Maria di Farfa e di San Salvatore Maggiore pubblicate nel tempo della sacra visita dall'e.mo e r.mo signor cardinale Luigi Lambruschini, Roma, Coi Tipi Vaticani, 1835.
  • Giuseppe Cappelletti, Le chiese d'Italia della loro origine sino ai nostri giorni, 1846. URL consultato il 22 maggio 2024.
  • Schuster, pag.446.
    «Dopo un breve soggiorno dei Passionisti sul deserto colle Letenano (1839-1854), quando il commendatario Lambruschini (1834-1841) ottenne da Gregorio XVI lo smembramento delle due diocesi abbaziali di Farfa e di San Salvator Maggiore (1841), con le terre di quest'ultima badia venne costituita in parte la nuova diocesi vescovile di Poggio Mirteto (1841), i di cui prelati hanno il titolo di abbati di San Salvatore, ne percepiscono gli ultimi rimasugli delle antiche rendite in favore del seminario diocesano. La destinazione dell'edificio monasteriale a residenza estiva dei giovani chierici delle diocesi di Rieti e di Poggio Mirteto (1880) fece si che la badia non venisse compresa entro gli ultimi decreti d'indemaniamento dell'asse ecclesiastico; ma, rispettata dalle leggi, non lo fu egualmente dagli uomini e dal tempo, si che oggi gli abbandonati chiostri, la basilica, le aule e gli ambulacri screpolati e deserti minacciano irreparabile rovina.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.447.
    «Si erigono in Italia tanti tempi e monasteri nuovi; perché non viene a nessuno il pensiero di risuscitare l'antica tradizione storica del monte Letenano, restituendo alla Sabina il monastero di San Salvator Maggiore, nuovo focolare d'ideali religiosi fra il popolo e centro di progresso e di civiltà?»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Antonius Hercules, Oppida, Castra et Villae sub iurisdictione Abbatiae S.Salvator Maioris, in Synodus dioecesana insignium abbatiarum S. Mariae Farfensis et S. Salvatoris Maioris Ord. S. Benedicti, Roma, Tipografia Barberini, 1686, p. 1069.
  • Schuster, pag.426-427. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.435.
    «Anche a Roma le ragioni dei monaci sulle loro chiese di San Martino e di San Salvatore «dompni Campi » nell'Arenula, non riscuotevano maggior rispetto. II Bovio ricorda che quest'ultima, prima che sotto Urbano venisse demolita, era a tre navi e sembrava antichissima. Negli atti delia visita apostolica del 1566 il rettore, un tal «Messer Luciano d'Anderocho (Antrodoco) appresso l'Aquila» dichiarò che apparteneva ai monaci di Farfa, mentre già da molti anni aveva cambiato padrone. L'altra di San Martino, probabilmente assai più antica dei monaco Gualteno di San Salvator Maggiore che l'avrebbe eretta nel 1220, passò dapprima in dominio della Confraternita della Dottrina Cristiana (1604), indi nel 1742 fu ceduta ai Fratelli di San Giacomo degli Spagnuoli, che nel demolirla, vi scoprirono una gran quantità d'ossa umane (130 teschi), manette, chiodi e coltella sotterrate presso l'altare maggiore. È ben difficile che si tratti di corpi di martiri romani estratti da¡ cimiteri, e mi bacina il sospetto che possano essere le vittime del massacro compiuto dai Saraceni del IX secolo sul monte Letenano»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Appartenuto a Farfa fino al 968 poi a San salvatore fino al 1221 cfr. Archeologia Medievale, XXVI, 1999.
  • Nicola Palma, Storia ecclesiastica e civile della regione più settentrionale del Regno di Napoli detta dagli antichi Praetutium; ne' bassi tempi Aprutium oggi città di Teramo e diocesi aprutina scritta dal dottore di leggi D. Niccola Palma canonico della cattedrale aprutina., Teramo, Ubaldo Angeletti, 1834, pp. 206-220.
  • Eleonora Tosti, Conservazione e trasformazione: l'arredo liturgico medievale tra XV e XVII secolo in Abruzzo, in Luoghi nella storia: Concezione, uso e trasformazione dello spazio tra storia, storia dell’arte e archeologia, Accademia University Press, 2024, p. 137.
  • Schuster, pag.439. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.435. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • L'abate Adenolfo (o Adinolfo), documentato a Farfa nel 1125, già abate di San Salvatore (Maggiore) come riportato dallo Schuster nel suo scritto del 1914 (Schuster) era in realtà abate del monastero di San Salvatore Minore di Scandriglia, come si evince dallo scritto dello stesso Schuster sull'Abbazia di San Salvatore (Minore) e la Massa Torana del 1918 (Schuster (1918)). Molti di quanti hanno scritto negli ultimi anni su San Salvatore Maggiore, non avendo letto attentamente il secondo scritto dello Schuster, sono incorsi nell'errore di continuare ad attribuire l'abate Adenolfo alla guida dell'abbazia di San Salvatore Maggiore. Tra questi anche l'attento Chisari ed il Grappa. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452. Giuseppe Chisari e Carlo De Paolis, L’Abbazia di San Salvatore Maggiore, in “Tra le abbazie del Lazio”, in Lunario Romano, Roma, F.lli Palombi Editori, 1988, pp. 111-126. Carlo Grappa, Sabina sacra e civile - Abbazie, castelli, chiese, palazzi, rocche e santuari situati nel territorio della provincia di Rieti, 2013.
  • Moroni, Sperandio, Tofani, Leggio (2022). Francesco Paolo Sperandio, Capitolo VIII - Della Diocesi di Sabina e della Badia di Farfa - 7. Farfa, in Sabina sacra e profana, antica e moderna, Roma, 1790, pp. 143-149. Bernardino Tofani, Longone di S. Salvator Maggiore nel Gastaldato di Rieti e nella Massa Torana, Rieti, Comunità montana del Turano, 1988. Tersilio Leggio, La Sabina e il Reatino. Un mosaico di signorie rurali (PDF), in La signoria rurale nel Lazio tardomedievale, Universitalia, 2022, pp. 91-164, ISBN 978-88-3293-582-0.
  • Schuster, pag.446. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.

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guidedellariservaborsacchio.it

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  • L'Enigma dell'Abbazia di Luciano Tribiani su Ibs.it

ilformichiere.it

ilpuntoquotidiano.it

  • Francesca Sammarco, La croce astile torna nella “sua” Vallecupola, su https://www.ilpuntoquotidiano.it/, 22 agosto 2021.
    «[...] Maglioni lancia un dubbio su chi abbia effettivamente pagato i lavori della croce: “Ranuccio Farnese la commissionò, ma non venne mai qui e ho ragione di credere che i soldi provenissero dai tanti lasciti testamentari di persone importanti. Uno dei testamenti che ho consultato parla di 5 fiorini per un calice d’argento da donare alla chiesa di Santa Croce: per avere un’idea del valore corrispondente, pensate che con due fiorini all’epoca si compravano due buoi che avevano un grande valore nell’economia agro-silvo-pastorale”.»

iluoghidelsilenzio.it

  • Si tratta del monastero femminile di Santa Vittoria in Matenano, oggi monastero delle benedettine intitolato a Santa Caterina. Santa Vittoria in Matenano, su iluoghidelsilenzio.it.

jstor.org

mfa.org

collections.mfa.org

nobili-napoletani.it

openedition.org

books.openedition.org

play.google.com

romasegreta.it

  • La chiesa di San salvatore in Domno Campo era ove è l'odierna Piazza della Trinità dei Pellegrini cfr. Piazza di San Salvatore in Campo, su romasegreta.it. Venne demolita per permettere l'ampliamento del palazzo del Monte di Pietà per ne venne ricostruita una detta San Salvatore in Campo nell'omonima piazza poco distante.
  • La chiesa di San Martino in Arenula presso l'odierna piazza del Monte di Pietà cfr. Monte di Pietà, su romasegreta.it.

saltocicolano.it

scolopi.net

wiki.scolopi.net

sganawa.org

  • Chisari.
    «La ricca biblioteca di Farfa, che custodisce preziosi documenti, conserva anche il testamento di tale Teuderacius (RF II,72) che, dovendo partire per la Lombardia al seguito di Adelchi e di Desiderio nell'anno 768, dispone dei suoi beni per il caso che non torni dalla guerra contro i Franchi. Gran parte delle sue proprietà sono destinate a Farfa, ma al monastero del Salvatore attribuisce "casalem nostrum in Villa Veneria, quem habemus prope Alipertum et Teuderadum germanos, cum terris et silvis in intergrum".»
    cfr. Schuster, pag.398 Giuseppe Chisari e Carlo De Paolis, L’Abbazia di San Salvatore Maggiore, in “Tra le abbazie del Lazio”, in Lunario Romano, Roma, F.lli Palombi Editori, 1988, pp. 111-126. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Chisari.
    «[...] Il fatto è che del gruppo facevano parte sia aquitani che longobardi; le ricchezze del cenobio si spiegano solo con la generosità dei possidenti dell'epoca verso i propri parenti e consanguinei che avevano scelto la vita religiosa, e in quel periodo storico franchi e longobardi erano i padroni dell'Italia centrale.»
    Giuseppe Chisari e Carlo De Paolis, L’Abbazia di San Salvatore Maggiore, in “Tra le abbazie del Lazio”, in Lunario Romano, Roma, F.lli Palombi Editori, 1988, pp. 111-126.
  • Chisari.
    «[...] Il favore del re dei franchi si giustifica con la presenza nel cenobio di monaci franchi se non addirittura di consanguinei di Carlo Magno.»
    L'ipotesi non è remota, dal momento che Carlomanno, fratello di Pipino il breve, padre di Carlo, si era ritirato nell'eremo di San Silvestro sul Soratte prima e a Montecassino poi. Giuseppe Chisari e Carlo De Paolis, L’Abbazia di San Salvatore Maggiore, in “Tra le abbazie del Lazio”, in Lunario Romano, Roma, F.lli Palombi Editori, 1988, pp. 111-126.
  • Chisari.
    «La condizione di "abbazia imperiale" aveva riflessi notevoli: da un lato il monastero doveva intrattenere con l'imperatore particolari rapporti di vassallaggio, inviargli parte dei prodotti delle proprie terre (fodrum), pagare a lui un tributo e questo significava carovane che si recavano periodicamente alla corte imperiale, in Francia o in Germania o a Roma, a seconda di dove in quel periodo si trovava l'imperatore; significava corrispondenza (risulta che Alcuino, l'influente consigliere di Carlo Magno, scrisse più d'una volta all'abate di S. Salvatore) e significava infine, autorizzazioni per l'elezione dell'abate. Dall'altra parte, nei confronti del papa c'era d'altronde un riguardo non solo formale; anzi S. Salvatore, come le altre abbazie più importanti, era "nullius", cioè non soggetta ad alcuna autorità diocesana, e dal punto di vista ecclesiastico dipendeva direttamente dal pontefice.»
    Giuseppe Chisari e Carlo De Paolis, L’Abbazia di San Salvatore Maggiore, in “Tra le abbazie del Lazio”, in Lunario Romano, Roma, F.lli Palombi Editori, 1988, pp. 111-126.
  • Chisari.
    «Schuster giustifica il doppio importante donativo con l'esistenza di due chiese nel monastero del Salvatore: una dedicata appunto al Salvatore la cui ricorrenza era ricordata il 16 Kal. febr., l'altra intitolata a S. Pietro e ricordata il 4 Kal. oct. .»
    cfr. Schuster, pag.407. Giuseppe Chisari e Carlo De Paolis, L’Abbazia di San Salvatore Maggiore, in “Tra le abbazie del Lazio”, in Lunario Romano, Roma, F.lli Palombi Editori, 1988, pp. 111-126. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Chisari.
    «[...] È curioso che di questo martire, di cui si ignora la tomba, scrive Schuster, siano coperte dal mistero non solo le reliquie ma anche la figura. È stato il primo degli antipapi e tuttavia era venerato come martire e vescovo, e riconosciuto genio del cristianesimo.»
    Giuseppe Chisari e Carlo De Paolis, L’Abbazia di San Salvatore Maggiore, in “Tra le abbazie del Lazio”, in Lunario Romano, Roma, F.lli Palombi Editori, 1988, pp. 111-126.
  • Chisari.
    «"A Bireti de Laonensi nuncupatos" si legge sulla bolla del 12 settembre 1629 di Urbano VIII.»
    Giuseppe Chisari e Carlo De Paolis, L’Abbazia di San Salvatore Maggiore, in “Tra le abbazie del Lazio”, in Lunario Romano, Roma, F.lli Palombi Editori, 1988, pp. 111-126.
  • Chisari. Giuseppe Chisari e Carlo De Paolis, L’Abbazia di San Salvatore Maggiore, in “Tra le abbazie del Lazio”, in Lunario Romano, Roma, F.lli Palombi Editori, 1988, pp. 111-126.
  • Vedi Chisari sull'identificazione dell'Abate Anastasio di San Salvatore con l'Anastasio bibliotecario scomunicato da papa Leone IV (lo stesso papa che minacciò di scomunica il monastero del Salvatore ai tempi dell'abate Onorato). Giuseppe Chisari e Carlo De Paolis, L’Abbazia di San Salvatore Maggiore, in “Tra le abbazie del Lazio”, in Lunario Romano, Roma, F.lli Palombi Editori, 1988, pp. 111-126.
  • Chisari.
    «[...] ma Anastasio, bibliotecario o meno, a San Salvatore deve aver istituito o quanto meno dato impulso all'attività di trascrizione di testi e codici che in quel periodo le migliori abbazie già svolgevano. Questa attività, di cui Farfa traeva grande vanto, era ovvio dovesse esistere anche a S. Salvatore per i noti legami tra i due cenobi, ma Schuster riferisce un episodio che indirettamente fornisce la prova. Papa Alessandro II (1061-1073), volendo sottrarre a S. Pier Damiani (1007-1073) il manoscritto "Gomorrianus"(ed.1051) non intendendo farlo diffondere, gli disse che lo mandava all'abbazia di S. Salvatore per farlo copiare (mentre poi lo fece chiudere negli archivi del Vaticano). Il riferimento alla "copisteria" del Letenano, non mancando a Roma e nei dintorni, e in particolare a Farfa, altri celebri scriptoria, non può che confortare l'ipotesi che in quella abbazia esistesse una scuola nota e ben valutata. Da questa scuola sono usciti lavori (martirologi) che sono serviti da riferimento e da esempio per le successive compilazioni sullo stesso tema. Dall'archetipo del Letenano sono stati tratti i martirologi in uso a Montecassino, a S. Ciriaco in via Lata, a S. Maria in Trastevere (c'entra forse Anastasio bibliotecario?) e altrove.»
    Giuseppe Chisari e Carlo De Paolis, L’Abbazia di San Salvatore Maggiore, in “Tra le abbazie del Lazio”, in Lunario Romano, Roma, F.lli Palombi Editori, 1988, pp. 111-126.
  • Chisari.
    «Denso di avvenimenti per il Salvatore è l'anno 1149, allorché Ruggero il Normanno, re di Sicilia, prende le armi contro il papa e dopo il saccheggio di Roma si dirige sulle città del Lazio, impadronendosi anche di Rieti che affida in feudo ai suoi.»
    Giuseppe Chisari e Carlo De Paolis, L’Abbazia di San Salvatore Maggiore, in “Tra le abbazie del Lazio”, in Lunario Romano, Roma, F.lli Palombi Editori, 1988, pp. 111-126.
  • Chisari.
    «Una fazione di questa famiglia (ndr. i Mareri), fedele alla causa imperiale tedesca subisce le conseguenze della sconfitta inflitta da Tancredi a Enrico VI nel 1191. Un altro ramo dei Mareri, avverso a Federico II, perde nel 1241 i beni del Lazio e dell'Abruzzo, ma alla morte di Federico il papa Innocenzo IV reintegra i discendenti nelle terre già appartenute alla loro famiglia sia nel regno pontificio sia in Abruzzo. Altri Mareri seguono la causa di Corradino. A seguito della sconfitta subita a Tagliacozzo nel 1268 e alla conseguente incarcerazione di Corradino, essi sono spogliati dei beni che nel 1277 vengono assegnati a Stefano Colonna. I Mareri beneficiano di un'altra reintegrazione per opera di Roberto Re di Napoli il 19 febbraio 1323, ma nel 1510 l'intera famiglia è sterminata da mani assassine e l'unica superstite, Costanza, si disfa della contea vendendola nel 1532 al cardinale Pompeo Colonna
    cfr. Tersilio Leggio, Profilo biografico di un funzionario di Federico II. Tommaso Mareri rettore di Treviso, podestà di Forlì e Ravenna, vicario imperiale di Romagna e di Puglia, protagonista della fondazione dell’Aquila, in Ravenna. Studi e ricerche, vol. 1996, n. 3, pp. 119-174. Giuseppe Chisari e Carlo De Paolis, L’Abbazia di San Salvatore Maggiore, in “Tra le abbazie del Lazio”, in Lunario Romano, Roma, F.lli Palombi Editori, 1988, pp. 111-126.
  • Chisari.
    «Innocenzo IV il 15 aprile 1249 da Lione attribuisce a Pietro diacono, cardinale di San Giorgio al Velabro, autorità [...] su un gran numero di monasteri in tutta l'Italia centrale, compreso il nostro S. Salvatore, con pieni poteri, allo scopo di esperire trattative con il Regno di Sicilia. È interessante conoscere alcune delle ampie potestà affidate al cardinale Pietro, il quale tra l'altro poteva assoldare eserciti e con essi entrare nelle regioni pontificie, consacrare e sconsacrare laici e chierici, promettere benefici, contrarre mutui fino a 10 mila marchi d'argento e per 10 mila once d'oro, chiedere aiuto ai Cavalieri templari e agli altri ordini religiosi e persino di consentire a 50 persone di diventare religiosi in difetto di legittimi natali! E siamo nel vivo della lotta con Federico II, ma i pieni poteri del cardinale anche sull'abbazia del Salvatore costituirono un pericoloso precedente.»
    cfr. Les Registres d'Innocent IV (1243-1254) recueil des bulles de ce pape. T. II. Thorin. 1884-1885., su gallica.bnf.fr. Giuseppe Chisari e Carlo De Paolis, L’Abbazia di San Salvatore Maggiore, in “Tra le abbazie del Lazio”, in Lunario Romano, Roma, F.lli Palombi Editori, 1988, pp. 111-126.
  • Chisari.
    «: [...] Era l'effetto della vittoria del papato sull'impero e il risultato della sottomissione dell'abbazia all'autorità pontificia come avvenuto per Farfa con il privilegio di Urbano IV del 23 febbraio 1282. Il documento con cui Onorio IV garantisce i beni del S. Salvatore è del 24 aprile 1281 e pertanto la defensio imperialis sui due cenobi deve essere cessata negli anni immediatamente precedenti.»
    Giuseppe Chisari e Carlo De Paolis, L’Abbazia di San Salvatore Maggiore, in “Tra le abbazie del Lazio”, in Lunario Romano, Roma, F.lli Palombi Editori, 1988, pp. 111-126.
  • L'abate Adenolfo (o Adinolfo), documentato a Farfa nel 1125, già abate di San Salvatore (Maggiore) come riportato dallo Schuster nel suo scritto del 1914 (Schuster) era in realtà abate del monastero di San Salvatore Minore di Scandriglia, come si evince dallo scritto dello stesso Schuster sull'Abbazia di San Salvatore (Minore) e la Massa Torana del 1918 (Schuster (1918)). Molti di quanti hanno scritto negli ultimi anni su San Salvatore Maggiore, non avendo letto attentamente il secondo scritto dello Schuster, sono incorsi nell'errore di continuare ad attribuire l'abate Adenolfo alla guida dell'abbazia di San Salvatore Maggiore. Tra questi anche l'attento Chisari ed il Grappa. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452. Giuseppe Chisari e Carlo De Paolis, L’Abbazia di San Salvatore Maggiore, in “Tra le abbazie del Lazio”, in Lunario Romano, Roma, F.lli Palombi Editori, 1988, pp. 111-126. Carlo Grappa, Sabina sacra e civile - Abbazie, castelli, chiese, palazzi, rocche e santuari situati nel territorio della provincia di Rieti, 2013.

stjohndivine.org

tecuting.it

treccani.it

  • Enrico di Castiglia - Dizionario Biografico degli Italiani (1993), su treccani.it, vol. 42, Enciclopedia Treccani.
  • cfr. cardinale Francesco di Napoleone Orsini, su treccani.it.
    «Le sue disposizioni testamentarie si presentano come una testimonianza interessantissima, oltreché dei legami intrattenuti con istituzioni ecclesiastiche e ordini religiosi e delle capacità finanziarie di cui poté disporre, frutto di una lunga carriera, anche dei suoi interessi culturali che andarono dal diritto canonico alla liturgia fino all’alchimia e all’astronomia. Morì il 6 dicembre 1311 a Roma e fu sepolto nella Basilica Vaticana.»
  • L'altro fratello dei due cardinali Farnese, nipoti di Papa Paolo III, il secondogenito di Pier Luigi Farnese e Gerolama Orsini, era Ottavio Farnese che a 15 anni, nel 1538, venne sposato da Papa Paolo III Farnese, nella cappella Sistina, con Margherita d'Austria, figlia naturale, sedicenne, dell'imperatore Carlo V, più tardi conosciuta come la Madama d'Austria, governatrice prima dei possedimenti farnesiani d'Abruzzo, quindi governatrice dei Paesi Bassi ed infine duchessa di Parma e Piacenza. Tra il 1569 ed il 1572 Margherita d'Austria, con la sua corte, soggiornò a Cittaducale, località del Regno di Napoli, nei territori contigui a quelli dell'abbazia di San Salvatore Maggiore cfr. Treccani, dizionario biografico.
  • Sotto il governo del cardinale Ercolani, nel 1821, è ricordato a San Salvatore, come insegnante di Latino, Francesco Massi.
  • Tolentino in Enciclopedia dell'arte medioevale Treccani, su treccani.it.
    «[...] Il sorgere nel Medioevo del culto di Catervio, divenuto il martire Catervo (Delehaye, 1943), trasformò il mausoleo in luogo di pellegrinaggio presso il quale si stabilì il priorato benedettino di S. Maria, citato in un diploma imperiale del 1047 e dipendente dall'abbazia sabina di S. Salvatore Maggiore, talvolta menzionato con il titolo di S. Catervo e/o del Salvatore, com'è documentato a partire dal 1034 [...] Nel 1099 il vescovo camerinese cedette i diritti sulla civitas all'abate di S. Salvatore Maggiore, che tenne T. sotto la sua giurisdizione fino al 1166, quando subentrarono i signori della Marca Anconitana.»

uchicago.edu

penelope.uchicago.edu

uni-heidelberg.de

journals.ub.uni-heidelberg.de

unina.it

rmoa.unina.it

  • Quello della Signoria di San Salvatore è un neologismo storiografico attribuibile a Tersilio Leggio (Leggio (2022), pag. 129). Nel passato con Abbatia Sancti Salvatoris Maioris si indicava tanto il complesso abbaziale quanto, per esteso, il territorio sotto il controllo dell'abbazia. Fu il Desanctis nel suo scritto a descriver per primo come Baronia di San Salvatore il complesso dei territori sotto il controllo abbaziale usando anch'egli un neologismo per lo stesso scopo adottato da Leggio. Tersilio Leggio, La Sabina e il Reatino. Un mosaico di signorie rurali (PDF), in La signoria rurale nel Lazio tardomedievale, Universitalia, 2022, pp. 91-164, ISBN 978-88-3293-582-0. Paolo Desanctis, Notizie storiche del monastero di S. Salvator Maggiore e del Seminario di Rieti, Rieti, Trinchi, 1884.
  • Leggio (2022), pag.130. Tersilio Leggio, La Sabina e il Reatino. Un mosaico di signorie rurali (PDF), in La signoria rurale nel Lazio tardomedievale, Universitalia, 2022, pp. 91-164, ISBN 978-88-3293-582-0.
  • Leggio (2022), pag.130.
    «Recuperato il controllo sull’abbazia da parte papale, le tensioni ebbero una brusca accelerazione subito dopo la nomina del vescovo Tommaso alla sede di Rieti, nel 1252. Il processo contro San Salvatore Maggiore fu avviato solennemente tra 16 e 17 settembre 1253 e fu negativo per l’abbazia, poiché i diritti episcopali e l’esercizio della giurisdizione ecclesiastica nei riguardi delle cappelle monastiche furono attribuiti al vescovo ordinario reatino. Dopo questi fatti, la situazione di San Salvatore divenne più debole segnando un momento profondo di crisi.»
    Tersilio Leggio, La Sabina e il Reatino. Un mosaico di signorie rurali (PDF), in La signoria rurale nel Lazio tardomedievale, Universitalia, 2022, pp. 91-164, ISBN 978-88-3293-582-0.
  • È curioso notare come secondo Leggio fu il vescovo di Rieti a vincere (cfr.Leggio (2022), pag.130) mentre, secondo il Desanctis, vinse l'abate di San Salvatore Maggiore. Tersilio Leggio, La Sabina e il Reatino. Un mosaico di signorie rurali (PDF), in La signoria rurale nel Lazio tardomedievale, Universitalia, 2022, pp. 91-164, ISBN 978-88-3293-582-0.
  • Schuster, pag.430.
    «Il 10 gennaio successivo (ndr. 1308) ritroviamo Bonus-Iohannes ancora a Poitiers, ove in questo giorno ratificò alla Camera Apostolica e al Collegio dei Cardinali il debito di 400 fiorini d'oro (ndr. la rendita dell'abbaia era di 200 fiorni d'oro l'anno. cf. Leggio (2022)) e 5 «servitia» lasciato insoluto dai suo predecessore Pietro, e si obbligò, inoltre, a pagare per suo conto altri 100 fiorini e 5 «servitia» sino alla festa d'Ognissanti. L'odioso sistema fiscale introdotto da Clemente V era tutt'altro che fatto per risollevare San Salvatore al primitivo splendore; ma non contò nulla, e Bonus-Johannes, se volle mettersi al sicuro contro i fulmini della scomunica che gli ufficiali della tesoreria pontificia lanciavano con un'audacia pari alla loro leggerezza, dové di tanto in tanto inviare il suo gruzzolo a Clemente V, mentre proprio ce ne sarebbe stato estremo bisogno sul Letenano che, per concessione stessa del papa, era assai decaduto nelle sue facoltà e diritti. Bisogna tener conto di tutte le altre contribuzioni imposte dai papi avignonesi alle chiese e ai monasteri, alle decime per le vare guerre, ai «subsidia», alle riserve e alle aspettative dei benefici vacabili per comprendere tutto il danno che cagionarono alla Cristianità da queste forzate contribuzioni pecuniarie.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452. Tersilio Leggio, La Sabina e il Reatino. Un mosaico di signorie rurali (PDF), in La signoria rurale nel Lazio tardomedievale, Universitalia, 2022, pp. 91-164, ISBN 978-88-3293-582-0.
  • Leggio (2022), pag.131.
    «Ebbe invece successo il tentativo dei Mareri, i quali alla metà del XIV secolo avevano mutato strategia, puntando come detto a occupare le cariche religiose più importanti del territorio e a espandere la loro influenza nello Stato della Chiesa. Durante il 1300 e nei primi anni del 1400 i frati dell'abbazia di San Salvatore si misero sotto la protezione dei potenti conti Mareri di Petrella per poter difendere il loro territorio dalle insidie che continuamente erano ordite a loro danno dal comune di Rieti e dai principi delle più importanti famiglie nobili del tempo quali gli Orsini e i Savelli. Dal 1382, infatti, è attestata la presenza come abate a San Salvatore Maggiore di Ludovico di Lippo Mareri. Nello stesso anno scoppiò una controversia con Lucarello Savelli per il castello di Capradosso. Nel 1385 fu Rieti a scontrarsi con l’abate e Lippo (ndr. Lippo Mareri, il padre dell'abate Ludovico) per un sequestro di grano. La disputa fu risolta rapidamente con un accordo di pace tra le parti. Di rilievo è l’elenco dei castelli dell’abbazia fornito dalle carte reatine. L’elenco era stato redatto da due notai, Antonius Petructii Iacobi di Petrella e Oddonus Berardi di Concerviano de Abbatia, così come si definiva comunemente il territorio della signoria, e comprendeva i seguenti insediamenti denominati genericamente castra a prescindere dalle forme dell’insediamento: Mirandella, Vallecupola, Poggio Vittiano, Guaita, Rocca Vittiana, Longone, Pratoianni, Baccarecce, Antignano, San Silvestro, Rocca Ranieri, Porcigliano, Cenciara, Offeio, Capradosso, San Martino, Verano. Mancava Magnalardo, probabilmente ancora in possesso dei Savelli (ndr. rispetto all'elenco nella lettera di Clemente V del 1310).»
    Tersilio Leggio, La Sabina e il Reatino. Un mosaico di signorie rurali (PDF), in La signoria rurale nel Lazio tardomedievale, Universitalia, 2022, pp. 91-164, ISBN 978-88-3293-582-0.
  • Leggio (2022), pag.132.
    «Battista Orsini in precedenza, nel 1427, ebbe l’abbazia secolare e la chiesa collegiata di San Martino de' Turano, il cui giuspatronato spettava a Giacomo, conte di Tagliacozzo, e nel 1435 era stato locumtenens venerabilis monasterii et abbatie Farfensis per conto dell’abate (ndr. di Farfa) Giovanni Orsini (1437-1476)»
    Tersilio Leggio, La Sabina e il Reatino. Un mosaico di signorie rurali (PDF), in La signoria rurale nel Lazio tardomedievale, Universitalia, 2022, pp. 91-164, ISBN 978-88-3293-582-0.
  • Leggio (2022), pag.132.
    «qui apud sedem eandem diem clausit extremum»
    Tersilio Leggio, La Sabina e il Reatino. Un mosaico di signorie rurali (PDF), in La signoria rurale nel Lazio tardomedievale, Universitalia, 2022, pp. 91-164, ISBN 978-88-3293-582-0.
  • Leggio (2022), pag.131-132, Maglioni. Tersilio Leggio, La Sabina e il Reatino. Un mosaico di signorie rurali (PDF), in La signoria rurale nel Lazio tardomedievale, Universitalia, 2022, pp. 91-164, ISBN 978-88-3293-582-0. Paolo Maglioni, Storie inedite di Castelli Antichi: Roccaranieri, Longone Sabino, Fassinoro, San Silvestro, Rieti, Arti Grafiche Nobili Sud, 1994.
  • Leggio (2022), pag.132.
    «Tutto questo si evince dalla bolla di nomina emanata da Niccolò V
    Tersilio Leggio, La Sabina e il Reatino. Un mosaico di signorie rurali (PDF), in La signoria rurale nel Lazio tardomedievale, Universitalia, 2022, pp. 91-164, ISBN 978-88-3293-582-0.
  • La lettera è conservata nel Fondo Sforza all'Archivio di Stato di Milano cfr. Leggio (2022), pag.120. Tersilio Leggio, La Sabina e il Reatino. Un mosaico di signorie rurali (PDF), in La signoria rurale nel Lazio tardomedievale, Universitalia, 2022, pp. 91-164, ISBN 978-88-3293-582-0.
  • Leggio (2022), pag.98. Tersilio Leggio, La Sabina e il Reatino. Un mosaico di signorie rurali (PDF), in La signoria rurale nel Lazio tardomedievale, Universitalia, 2022, pp. 91-164, ISBN 978-88-3293-582-0.
  • Moroni, Sperandio, Tofani, Leggio (2022). Francesco Paolo Sperandio, Capitolo VIII - Della Diocesi di Sabina e della Badia di Farfa - 7. Farfa, in Sabina sacra e profana, antica e moderna, Roma, 1790, pp. 143-149. Bernardino Tofani, Longone di S. Salvator Maggiore nel Gastaldato di Rieti e nella Massa Torana, Rieti, Comunità montana del Turano, 1988. Tersilio Leggio, La Sabina e il Reatino. Un mosaico di signorie rurali (PDF), in La signoria rurale nel Lazio tardomedievale, Universitalia, 2022, pp. 91-164, ISBN 978-88-3293-582-0.

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  • Schuster, pag.405.
    «[...] giacché fin dall'undecimo secolo l'abbate Landuino si rivolgeva ad Ugo abbate di Farfa per ricercare in quel tabulario i documenti relativi alla loro mutua famiglia.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.397. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.395.
    «cfr. Reg. Farf. II, 12 "Anno DCCXXXV, indictione III, coenobium Domini Salvatoris aedificatur in Laetaniis"
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.395-396.
    «Ho già trattato altrove delle condizioni giuridiche dei monasteri imperiali d'Italia nel periodo carolingio, facendo derivare lo «ius palatii» sulle badie palatine dal patronato longobardo sugli edifici cultuali e dal mundio regio o ducale che gravava sui guargangi, stranieri alla città longobarda. Infatti, il più delle volte l'imperialismo monasteriale costituisce l'ultimo termine dell'evoluzione giuridica degli istituti sacri nel regno dei Longobardi, onde non sarebbe un'ipotesi troppo arrischiata se, in mancanza d'altri documenti, dal carattere imperiale di San Salvator Maggiore noi attribuissimo la fondazione a qualche nobile guargango franco, o a qualche esule monaco savoiardo, o dell'Aquitania venuto a pellegrinare in Italia. Anche Farfa, per oltre un secolo, reclutò i suoi primi abbati tra questi nobili rampolli delle più celebri famiglie franche, sospinte in Italia più ancora dalla devozione e dalia poesia che dalla guerra, che desolava il loro paese; ed è notevole che i monasteri fondati da quegli esuli guargangi abbiano ritrovato nel mundio regio o ducale le condizioni più favorevoli per raggiungere un alto grado di potenza e di ricchezza, mentre gli altri fondati da cittadini longobardi, e quindi immuni dalia tutela del sovrano, non hanno lasciato quasi traccia della loro breve esistenza. Farfa, San Salvatore, Sant'Andrea sul Soratte, San Vincenzo al Volturno, Monte Cassino sono tutti monasteri eretti o risuscitati da guargangi e che perciò vennero considerati come palatini ed imperiali, mentre San Pietro di Ferentillo tuttoché fondato dal duca Faroaldo di Spoleto, San Pietro di Classicella eretto dal duca Trasmondo per sua madre, San Giorgio di Spoleto, fondato dai duchi Lupo ed Ermelinda, per non dire di molti altri, non poterono mai giungere a tale grado d'onore e di potenza.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.395.
    «La collina tra Longone e Vaccareccia, su cui s'eleva la badia, nei documenti del secolo VIII chiamata «Laetenanum» o «Boianum», doppia nomenclatura che indicava forse la località e il «fundus» a cui apparteneva.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Chisari.
    «La ricca biblioteca di Farfa, che custodisce preziosi documenti, conserva anche il testamento di tale Teuderacius (RF II,72) che, dovendo partire per la Lombardia al seguito di Adelchi e di Desiderio nell'anno 768, dispone dei suoi beni per il caso che non torni dalla guerra contro i Franchi. Gran parte delle sue proprietà sono destinate a Farfa, ma al monastero del Salvatore attribuisce "casalem nostrum in Villa Veneria, quem habemus prope Alipertum et Teuderadum germanos, cum terris et silvis in intergrum".»
    cfr. Schuster, pag.398 Giuseppe Chisari e Carlo De Paolis, L’Abbazia di San Salvatore Maggiore, in “Tra le abbazie del Lazio”, in Lunario Romano, Roma, F.lli Palombi Editori, 1988, pp. 111-126. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.399-400. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.401.
    «: [...] Da una lettera di Alcuino al monaci del Letenano rileviamo che la fama della loro osservanza monacale era celebre anche al di là del monti, giacché il potente maestro di Carlo Magno dopo d'aver sollecitato una prima volta in suo favore le loro preghiere per mezzo dell'arcivescovo Algiramno di Metz (m. 791), qualche anno dopo scrisse una nuova lettera in termini assai affettuosi, in cui, facendo gli elogi della loro vita, li esorta a rendersi sempre pii degni del titolo di «monachi Sancti e Salvatoris», come si chiamavano. I cenobiti del Letenano non mancarono da parte loro di trarre profitto delle benevole disposizioni d'Alcuino, giacché dalla medesima lettera sappiamo che gli avevano spedito un messo a cagione d'alcuni negozi che avevano, con Carlo Magno, e che il maestro aveva interposto già in loro favore ad opera dell'imperatrice Liutgarda»
    . Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Chisari.
    «Schuster giustifica il doppio importante donativo con l'esistenza di due chiese nel monastero del Salvatore: una dedicata appunto al Salvatore la cui ricorrenza era ricordata il 16 Kal. febr., l'altra intitolata a S. Pietro e ricordata il 4 Kal. oct. .»
    cfr. Schuster, pag.407. Giuseppe Chisari e Carlo De Paolis, L’Abbazia di San Salvatore Maggiore, in “Tra le abbazie del Lazio”, in Lunario Romano, Roma, F.lli Palombi Editori, 1988, pp. 111-126. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.408.
    «[...] in quel periodo di traslazioni dei corpi dei martiri inaugurato da Paolo I e poi seguito sotto Pasquale I, quando, a cagione dell'abbandono dei cimiteri suburbani, papi, vescovi ed imperatori s'affrettarono a chi potesse più arricchire le proprie chiese di sacre reliquie, anche i monaci di San Salvatore ebbero la loro parte in quelle pie devastazioni delle Catacombe ed ottennero il corpo del martire Ippolito, già sepolto in una speciale basilica nell'agro Verano
    Per tale motivo nel monastero si festeggiava anche il 9 maggio come la data della traslazione del corpo di S. Ippolito martire. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.407. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.409-410. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.410. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.410-411.
    «Tanta generosità da parte di Ludovico II, stremato altresì di forze e di danaro, ha pure il suo caratteristico retroscena che ci fa meglio intendere lo scopo delta sua visita a Farfa e delta presenza colà delle due comunità monastiche. Infatti, dall'anonimo libello «De imperatoria potestate in Urbe» rileviamo il vero significato del carattere imperiale di Farfa, di San Salvatore e del Soratte, che, perdutosi di vista l'antico concetto del guargangato e del mundio longobardo, era divenuto un semplice titolo fiscale che attribuiva alla Corona l'alto dominio sul patrimonio monastico il che praticamente significava che questi monasteri avevano l'alto onore di fare le spese della corte imperiale durante il suo soggiorno nel ducato romano, oltre le altre derrate e tributi che dovevano spedire sino in Francia.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.412.
    «Ignoriamo le circostanze dell'assalto dei Saraceni alla badia e dell'incendio che vi appiccarono circa l'anno 981. I Fasti farfensi contengono solo di seconda mano quest'arida notizia: «Anno DCCCXCI, md. Iuli, «Guido imperator monasterium Salvatoris a paganis «incenditur» (RF Far. II, 15) ma è probabile che i monaci, dietro l'esempio dei Farfensi, abbiano preveduto a tempo il pericolo ponendosi in salvo nella Marca e nel Reatino, dove il loro patrimonio è ricordato in una carta del 3 ottobre 936.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.413. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.413) Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.403-404.
    «[...] Cosi un po' alla volta il patrimonio territoriale venne ad ingrandirsi considerevolmente, tanto che troviamo estendersi il suo possesso non pur in Sabina, dove possedeva, in condominio coi Farfensi, Arci, l'intera Celia Nova, delle terre a Quinto, il Gualdum «Novum Mizinum», Formello reatino, l'enfiteusi del casale «Sepicianum», le chiese di San Giovanni a Rieti, Sant'Andrea, Santa Maria di Poggio Moiano, San Giovanni «de Toche», San Giuliano «prope Tiberim», la «curtis» di San Pietro in Meana, dei beni a Terni e negli Abruzzi, un gran numero di «pagi» in Sabina, donde poi sorse la diocesi di San Salvator Maggiore, e una quantità di castelli, monasteri e borgate nella Marca di Fermo. In seguito passarono a San Salvatore quasi tutti i possedimenti dei Farfensi nelle Marche (cf. Synodus edita sub Carolus Barberinus, pp. 999-1023).»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.405.
    «Il Salvatore aveva beni e vassalli entro la «massa de Bucciniano» a un trarre d'arco da Farfa, mentre questa possedeva il castello di Longone, di Malialardo, i pagi di Senia, Celia Nova e San Benedetto quasi alle porte di San Salvatore. Verso il 1017 l'abbate Ugo propose a Landuino, abbate del Letenano, una permuta, in vista appunto della reciproca difficoltà che recavano loro l'amministrazione di quei possedimenti; ma nulla ci assicura che il suo corrispondente abbia secondato quei progetti. tra le due abbazie per evitare conflitti.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.396.
    «Ciò che è certo è che il monastero di San Salvatore Maggiore, favorito sin dai primordi dai gastaldi di Rieti, dai duchi di Spoleto e dai papi, nel secolo VIII possedeva già un patrimonio tanto vasto che, ad impedire una collisione coi farfensi, i quali aspiravano a dilatarsi nell'Umbria e nelle Marche, convenne stipulare degli accordi e delle permute di fondi, di cui il Regesto Farfense ci ha conservato soltanto qualche carta.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • cfr. Schuster, pag.401 su una lite dell'807 risolta a Rieti dal Gastaldo Lupo tra l'abate Benedetto di Farfa e l'abate Leufo di San Salvatore Maggiore per l'attribuzione di una proprietà che entrambi rivendicavano come propria. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.405.
    «Nelle carta di Farfa i beni di San Salvatore appariscono tutti frastagliati e intersecati da quelli farfensi, e l'osservare che raramente sorsero tra le due badie dello contestazioni a cagione di tale vicinanza, è la miglior conferma dello tradizionali relazioni di antica amicizia che ci descrive l'abate Ugo di Farfa. Libero ognuno d'estendere quanto più potesse i propri domini senza pregiudicare all'altro, farfensi e salvatoriani s'intesero a meraviglia insieme per più secoli.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.401.
    «Nonostante la distanza ed il cammino disastroso che le separava, le due comunità si erano sempre considerate come un'unica famiglia, cosi che spesso si scambiavano delle visite reciproche, specialmente in occasione dello feste più solenni, e concedevano assai facilmente ai loro monaci il passaggio dall'uno all'altro monastero (RF V). L'uso dei Farfensi di trasferirsi d'estate sulle alture del Letenano si é conservato sino a quest'ultimi tempi, ma all'infuori della notizia contenuta nel documento citato non sapevano nulla della consuetudine dei monaci del Salvatore di trascorrere a Farfa una parte dell'inverno, onde sfuggire si rigori del freddo. (Cfr. Episitula ad Dominum Landuinum venerab. abb. monast. Domini Salvatori»
    ). Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.414.
    «Verso la fine del secolo X le relazioni tra i] monastero di Farfa e di San Salvatore furono più intense che mai, in grazia soprattutto del celebre abbate Ugo I, che strinse amicizia col nostro Landuino. [...] Fu verso il 1014 che Ugo I rientrato in possesso dei castelli abbaziali di Tribuco e di Bocchignano, già occupati dai Crescenzi, ottenne da Benedetto VIII il «districtum et placitum» su quelle terre, come l'esercitavano altra volta i «Comites» di Sabina. Altri vasti possedimenti del monastero di San Salvatore a San Pietro di Alearia, rientrando nella circoscrizione comunale di Bocchignano, sarebbero stati perciò soggetti all' abbate di Farfa, ma Landuino, giovandosi delle sue buone relazioni con Ugo, lo pregò a concedere ai suoi vassalli di quelle torre un ampio privilegio di larga esenzione, perché non riconoscessero altra autorità all'infuori di quella di San Salvatore. Ugo, inteso a favorir l'amico, acconsenti, e nell'agosto 1018 emanò un Costituto, in cui esimeva dalia giurisdizione di Farfa i coloni di Meana, tranne il caso che dovesse rilevarsi II «fodro» per l'imperatore. L'abbate farfense inoltre si obbligò a difendere i vassalli del Salvatore, come i suoi propri, ma Landuino a sua volta accondiscese che essi venissero iscritti tra i castellani di Bocchignano, adempiendo fedelmente all'obbligo di montar la guardia alla fortezza e di prestare omaggio di fedeltà all'abbate di Farfa, come suoi veri sudditi feudali. In caso di delitto, d'adulterio, stupro, omicidio, incendio o tradimento della piazza forte, i coloni di Meana dovevano sottostare al tribunale dell'abbate di Farfa, ma quello del Letenano aveva diritto d'assistere in persona o per mezzo d'un messo; ad ogni modo egli ritirava la metà delle multe.»
    , Schuster, pag.415.
    «L'atto generoso di Ugo fu approvato a maggioranza di voti dai suoi monaci, il che formò motivo a Landuino di stringere sempre più i vincoli d'antica amicizia che univano le due grandi badie imperiali, incaricando il Farfense di farne delle ricerche in proposito in quel copioso archivio. Ugo gli rispose dopo qualche tempo, annunciandogli l'ottima impressione prodotta nella comunità per quel loro accordo. Quanto alle ricerche istituite, dalle «cartas, tomos sive membrana, nostrae ecclesiae autentica munimina et antiquissima» risultava che sin da principio tra Farfa e San Salvatore era esistita una corrente di mutua simpatia, tanto che era assai facile al monaci il passaggio dall'una all'altra comunità. D'estate quei di Farfa solevano recarsi in gran numero sulle alture del Letenano, mentre d'inverno i Salvatoriani scendevano nel piano lambito dal garrulo fiume Farfa, ove le due comunità trattavansi con ogni riguardo di familiarità ed amicizia.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.415-416.
    «La presenza dell'abbate Anastasio a Farfa quando Lodovico II neIl'872 visita la badia, aveva fornito l'occasione che l'imperatore comprendesse in un unico diploma, concesso in comune agli abati Giovanni farfense ed Anastasio, la conferma dei rispettivi patrimoni abbaziali; e infatti la storia dello svolgimento della potenza territoriale farfense dimostrava che mai era sorto alcun alterco coi monaci del Letenano a cagione d'interessi pecuniari e amministrativi. Lo stato di Farfa si prolungava sin quasi alle porte stesse di San Salvatore ove possedeva Longone, San Benedetto, Malialardo, Celia Nova e Lesenie, ma questi beni che facevano parte del patrimonio farfense sin dall'VIII secolo intralciavano l'amministrazione della badia che difficilmente poteva sorvegliare la loro coltivazione a cosi grande distanza. San Salvatore si trovava nelle identiche condizioni, onde Ugo I terminò a sua lettera a Landuino richiedendogli se una permuta di quei fondi non fosse vantaggiosa ad entrambi (Non sappiamo nulla se Landuino abbia aderito alla proposta, ma ne dubitiamo assai, giacché in un elenco dello usurpazioni subite dai monaci di Farfa e presentato verso iI 1116 a Pasquale II, ritroviamo ricordati gli stessi possedimenti descritti da Ugo nella sua lettera a Landuino).»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.406. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.417.
    «Talora però monaci da oppressi divenivano alla loro volta invasori, in ispecie quando si trattava dei diritti episcopali che cercavano d'eludere e di diminuire coi loro privilegi papali, a col dilatare i loro possedimenti, immuni per legge dalia giurisdizione episcopale. In un tempo quando i rispettivi diritti s'intralciavano e si collidevano a vicenda, non era difficile che tra gli episcopi e le badie sorgessero delle aspre contestazioni patrimoniali, che si protraevano acremente per lunghi anni. La storia di Farfa offre più d'un esempio di queste liti, non di rado selvagge, ove le parti sostenevano a mano armata la causa loro, incendiando, saccheggiando e menando strage del territorio dell'altra. La storia dei litigi fra Pietro, vescovo di Abruzzo e l'abbate di San Salvatore, anch'esso di norne Pietro, è rimasta tristemente famosa. Ci rimangono solo i documenti da parte del vescovo. Nel 1057 in un placito raccolto nello stesso cenobio controverso alla presenza di Eniardo «missus» imperiale, e dei vescovi Bernardo di Vicenza ed Ottone di Novara, cancelliere dell'imperatore, l'abate fu costretto a cedere alle ragioni del vescovo Pietro.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.418-419.
    «In una lettera di san Pier Damiani (1007-1072) al cardinale IIdebrando a proposito del suo libro «Gomorrianus», rileviamo che Alessandro II, ad impedire la diffusione di questo scritto, alta presenza dell'autore simulò di voler consegnare il codice all' abbate di San Salvator Maggiore perché glielo facesse trascrivere. II Damiani, non sospettando di nulla, diede il manoscritto porche se ne prendesse copia nel monastero del Letenano, ma invece nella notte seguente il pontefice fece trasportare il codice negli archivi papali, lasciando che l'autore minacciasse e protestasse a suo grado contro quel tradimento orditogli in nome dell'amicizia. Non è forse senza importanza che Alessandro II, mentre in Roma non mancavano delle buone scuole calligrafiche, sia ricorso all'abbate del Salvatore per far copiare il Gomorriano, e la meraviglia cresce quando si riflette che una particolare famiglia di martirologi rappresentata da uno già in uso a Monte Cassino, a S.Maria in Trastevere a Roma, a San Ciriaco in Via Lata e altrove dipenda da un archetipo del monte Letenano. Non è il caso da questi scarsi elementi di giungere subito sino ad intuire una speciale scuola Salvatoriana che avrebbe diffuso in tutto il ducato romano il culto delle lettere e delle arti, ma certo qualche cosa pur vi dove' esser, quantunque ora per noi sia impossibile di determinarne le condizioni.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.426-427.
    «II 24 aprile 1221 un'altra bolla di Onorio III (1216-1227) all'abbate Ranuzio di San Salvator Maggiore venne a garantire nuovamente i possedimenti del monastero a cui da tutte le parti si tendevano insidie. Vi si confermano in particolare i beni abbaziali situati nel Reatino tra i flumi Salto e Turano, dal rivo Paganico alla pianura di Rieti coi castelli di San Martino, Poggio Sant'Angelo, Palerofo e Campolanio; tra le dipendenze salvatoriane a Roma sono ricordate le chiese di San Salvatore «de Dompni Campo» e di San Martino «in Panerella» nel rione Arenula; in Sabina vengono confermati i monasteri di San Giuliano, di San Giovanni in Tocia, di Sant'Andrea, San Vittore, Santa Maria a Poggio Moiano; nel vescovado di Rieti la chiesa di San Giuliano a Trebula, il monastero di Santa Cecilia, di San Salvatore «in Vacungno», Sant' Angelo «in casa muca» col suo castello, il cenobio di San Paolo in Roiano e di San Bartolomeo «in Scopeto». Nella Marsica San Salvator Maggiore possedeva il monastero di Santa Maria «in Valle Maeculana» e di San Salvatore in Paterno. Nella diocesi di Furcona quello di Sant'Angelo de Mera, oltre un'altra lunga lista di beni nella diocesi di Valva
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.428 in nota.
    «Già le lotte tra il pontefice e Federico II avevano avuto il loro contraccolpo anche negli stati badiali di San Salvatore, quando il 7 aprile 1249 Innocenzo IV da Lione scrisse ai monaci di «S. Salvatoris de Reate», annunziando la legazione del card. Pietro di S. Giorgio, rettore della Marca e del Ducato, allo scopo di liberare i popoli di Sicilia oppressi da Federico. Il 15 aprile successivo il pontefice concesse al legato facoltà di esercitare il proprio ufficio anche sul territorio dell'abbazia di San Salvator Maggiore.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.428. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.429.
    «A Filippo dopo qualche anno successe nel governo l'abbate Pietro, il quale ad ogni modo non sedé a lungo, giacché il 28 novembre 1307 già era morto il suo successore a nome Cambio. I capitolari allora entrarono in trattative per ottenere che Francesco, abbate di Subiaco, passasse a San Salvatore, e a tale scopo inviarono a Poitiers alla corte di Clemente V (1305-1314) il monaco Bonus-Iohannes, perché vi trattasse di questa traslazione.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.429 in nota.
    «II candidato, di costumi feroci e d'animo prepotente, venne cacciato da Subiaco verso lI 1303, senza tuttavia che egli rinunziasse mai ai suoi pretesi diritti su quella badia. Gli stessi sublacensi non sanno nulla di queste trattative di Francesco coi monaci di San Salvatore, ma gli intrighi del sedicente abbate si spiegano bene quando si tiene conto che essendo succeduto a Subiaco un amministratore apostolico, Nicola da Mileto, Francesco, sentendosi vacillare il suolo sotto i piedi, mediante la candidatura di San Salvatore, cercò d'avere, come dicesi, il piede in due staffe, assicurando la sua posizione.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.429-430.
    «Il messo tuttavia disbrigò si bene quest' affare, che il papa, considerando anche lo stato del monastero, «in suis facultatibus et viribus non modicum diminutum» (ndr. it. assai decaduto nelle sue facoltá e diritti) cassò l'elezione dei monaci e lo creò abbate, facendolo consacrare dal cardinal Nicola, vescovo d'Ostia e Velletri. In data del 28 novembre di quest' anno (ndr.1307) Clemente V indirizzò a tale riguardo tre lettere, all'eletto, al capitolo dei monaci e ai vassalli, perché accogliessero colla dovuta ubbidienza il nuovo abbate, e l'aiutassero nel sollevare le sorti dell'avvilita badia.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.430.
    «Il 10 gennaio successivo (ndr. 1308) ritroviamo Bonus-Iohannes ancora a Poitiers, ove in questo giorno ratificò alla Camera Apostolica e al Collegio dei Cardinali il debito di 400 fiorini d'oro (ndr. la rendita dell'abbaia era di 200 fiorni d'oro l'anno. cf. Leggio (2022)) e 5 «servitia» lasciato insoluto dai suo predecessore Pietro, e si obbligò, inoltre, a pagare per suo conto altri 100 fiorini e 5 «servitia» sino alla festa d'Ognissanti. L'odioso sistema fiscale introdotto da Clemente V era tutt'altro che fatto per risollevare San Salvatore al primitivo splendore; ma non contò nulla, e Bonus-Johannes, se volle mettersi al sicuro contro i fulmini della scomunica che gli ufficiali della tesoreria pontificia lanciavano con un'audacia pari alla loro leggerezza, dové di tanto in tanto inviare il suo gruzzolo a Clemente V, mentre proprio ce ne sarebbe stato estremo bisogno sul Letenano che, per concessione stessa del papa, era assai decaduto nelle sue facoltà e diritti. Bisogna tener conto di tutte le altre contribuzioni imposte dai papi avignonesi alle chiese e ai monasteri, alle decime per le vare guerre, ai «subsidia», alle riserve e alle aspettative dei benefici vacabili per comprendere tutto il danno che cagionarono alla Cristianità da queste forzate contribuzioni pecuniarie.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452. Tersilio Leggio, La Sabina e il Reatino. Un mosaico di signorie rurali (PDF), in La signoria rurale nel Lazio tardomedievale, Universitalia, 2022, pp. 91-164, ISBN 978-88-3293-582-0.
  • Schuster, pag.431.
    «Il governo di Bonus-Iohannes fu tra i più agitati che conti la storia. Il Comune di Rieti, d'accordo con i nobili dei dintorni, istigò dapprima la ribellione fra i vassalli del monastero, indi, dopo essersi impadronito violentemente del castelli badiali che sorgevano nel territorio reatino, strinse una convenzione cogli abbaziali perché all' ombra del Comune si scuotessero di dosso l'inviso giogo di San Salvatore. Colle idee che già bollivano in quei capi di montanari non vi volle molto ad aizzarli alla rivolta, e rafforzare le loro file da altre turbe di mercenari, corsero in armi sul monte Letenano minacciando ai monaci l'ultimo sterminio. L' assedio durò due giorni, ma alla fine quelle orde furibonde riuscirono a penetrare nel monastero attraverso le mura smantellate e vi rinnovarono le atrocità del Saraceni quattro secoli prima.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.432.
    «Insieme con le granaglie e le diverse derrate nel magazzini, quei forsennati appiccarono il fuoco anche al paramenti sacri della basilica, ai codici della biblioteca e alle carte dell'archivio che andarono distrutte: i monaci probabilmente si misero in salvo con la fuga, giacché non si ha alcuna notizia che venisse loro recato danno nella persona, ma il Comune di Rieti approfittò tosto di quel primo momento di sgomento per confiscare a proprio vantaggio quasi interamente lo stato abbaziale. Le castella vennero adunque concesse ai diversi capitani e agli ufficiali di Rieti e l'usurpazione violenta fu sostenuta innanzi al popolo con si valide ragioni in favore del Comune, che i suoi diritti su quelle terre sembrarono irrefutabili. I monaci tuttavia ricorsero a Clemente V che risiedeva allora a Poitiers, donde il 4 marzo 1308 diresse un breve a Pandolfo de' Savelli «praeposito chableyarum in ecciesia Sancti Martini Turonensis» e notaio apostolico, in cui, fatta la storia della controversia tra San Salvatore e il Comune di Rieti, gil ordina d'annullare le convenzioni stipulate tra i nobili e i badiali, con ordine ai Reatini di ritirare dentro un determinato tempo le loro soldatesche dai castelli del monastero.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.433.
    «Clemente V incaricó tosto a viva voce il cardinal Giovanni del titolo dei Santi Pietro e Marcellino, perché istituisse sul luogo un'inchiesta sommaria e ne riferisse poscia in concistoro. Furono chiamati a deporre parecchi testimoni, dai quali risultó che il monastero aveva sernpre esercitato giurisdizione cosi ecciesiastica che civile sui castelli di Mirandella, Lutta, Valle Cupola, Guaiata, Rocca, Poggio Vittiano, Longone, Insenie, Visiola, Vaccareccia, Malialardo, Villa de Ulmis, San Benedetto, Cripte, Porciliano, Licingiano, Genzalia, Rocca Raneria, Colcerviano, Pratoianne e Offedio, onde la relazione del cardinale fu interamente favorevole ai monaci. Clemente V comprese egregiamente tutta la difficoltà delle circostanze, giacché trattavasi di restituire a San Salvatore quasi intero il suo stato temporale contra le pretese dei potenti Reatini. V'era a temere che gli stessi monaci non avrebbero avuto la forza necessaria per esigere tale restituzione; onde, deliberata la casa in concistoro coi cardinali, il 15 giugno 1310 il pontefice ordinò al Comune l'immediata consegna delle usurpate castella all'abbate affidando l'esecuzione di questa sentenza a Napoleone Orsini e ai vescovi dei Marsi e di Valva. A garantire meglio i diritti di San Salvatore, il medesimo giorno scrisse a re Carlo d'Angiò, costituendolo «defensor» della badia.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.434-435.
    «Il Comune di Rieti venne costretto a restituire il mal tolto, ma i torbidi che durante questo periodo sconvolsero lo stato pontificio non poterono a meno di non ripercuotersi sulle sorti del cenobio che andò sempre scemando in dignità e potenza. Dopo l'esilio d'Avignone, alio scoppiare dello scisma d'Occidente, San Salvatore e Farfa associarono la propria fortuna a quella d'Urbano VI, e alla costui morte, quando nel 1389 gli successe Pietro Tomacelli (ndr. Bonifacio IX), i beni d'ambedue le badie fecero naturalmente le spese del nepotismo pontificio e della politica papale, che mirava a restaurare il proprio dominio nell'antico Patrimonio di S. Pietro. Francesco Carbone, già monaco cisterciense, indi vescovo di Monopoli e cardinale, doveva tener soggetta la Sabina e le Marche allo zio pontefice; onde dopo essergli state commesse delle importanti legazioni contro la regina Giovanna di Napoli, fu creato vescovo sabinese, vicario pontificio della Campania, Tuscia, Umbria e Sabina, commendatario di Farfa e di San Salvator Maggiore, penitenziere maggiore e arciprete della basilica Lateranense. A Todi, a Narni e a Foligno il Carbone ottenne dei successi assai importanti in favore dell'autorità pontificia, e sotto di lui anche le due abbazie sabine goderono d'una relativa tranquillità, senza essere più bersaglio di tutti i soprusi dei nobili della campagna reatina. A Farfa il Carbone cominciò l'opera di restauro della fabbrica della chiesa e del monastero, e in grazia sua i pellegrinaggi tornarono nuovamente ad affluire lungo le garrule rive del «Farfarus» oraziano.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.437.
    «L'autorità della badia si era molto ristretta anche in Sabina, ove i monaci vivevano ristretti tra le mura del cenobio senza più esercitare alcun influenza sociale sul popolo. infatti sin dal 1399 Bonifacio IX aveva trasferita la dignità abbaziale nel proprio nipote Francesco Tomacelli, monaco cisterciense, che creò primo commendatario del monastero di San Salvatore.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.435.
    «Ma così a Farfa che a San Salvatore il rimedio veniva troppo tardi; per colpa d' un complesso di circostanze, la stessa vita cenobitica vi s' era come secolarizzata, per non avere altro scopo che di custodire il censo e la posizione sociale acquistata nei primi secoli del medio evo. Onde nonostante tutte le commende e le troppo interessate protezioni della Curia, sembrava che pei due cenobi si fosse inaugurato come una specie di ridente autunno che prelude tristamente al gelido novembre, quando all'infuriar dei venti gli alberi si dispogliano delle foghe ingiallite. Prima della rovina definitiva di San Salvatore precedé quella delle sue dipendenze.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.437.
    «Alessandro VI unì in perpetuo la commenda di San Salvatore a quella di Farfa, di cui era investito il cardinal Gian Battista Orsini che fini i suoi giorni in Castel Sant' Angelo; indi Sisto V sottrasse ai commendatari la giurisdizione civile sulle terre del monastero che attribuì invece alla Camera Apostolica»
    . Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.440-441. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.438-439.
    «La disciplina monastica v'era già decaduta da lunghi anni, e i monaci, specialmente dopo che la commenda venne a togliere loro di mano ogni ingerenza e responsabilità nel governo dello torre abbaziali, vennero a rattrappirsi d'ozio e di noia entro quel vecchio edificio screpolato e cadente, senza alcun ideale elevato, senza alcuna prospettiva dinanzi a loro. Verso il 1609 lo zelante cardinale Alessandro da Montalto, caldo ammiratore della riforma di Farfa per opera della Congregazione Cassinese, tentò d'indurre i monaci ad accettare anch'essi un piano di riforma monacale, ispirato bensì alla disciplina dei Cassinesi, ma senza alcuna incorporazione della badia a quella Congregazione. Ottenutane pertanto licenza da Paolo V, con facoltà di rimandar con Dio i recalcitranti, il commendatario si pose all'opera che sulle prime non mancò di dare ottime speranze. Alcuni se ne ritornarono alle loro case con una discreta pensione, ma la maggior parte vi si adattò alla meglio, cosi che il Montalto ottenne da Paolo V un breve del 18 novembre 1614, col quale il pontefice incorporava alla Congregazione Cassinese oltre la badia di San Salvator Maggiore, i priorati da essa dipendenti nelle Marche e a Roma. L'uditore generale della Camera Apostolica coi vescovi di Fermo e di Montalto vennero incaricati di eseguire la volontà pontificia, la quale tanto più stava a cuore al commendatario, perché tutte le rendite e la collazione dei benefizi ecclesiastici della badia venivano sottratte a qualsiasi ingerenza dei monaci e riservate a lui solo. Non sappiamo con quali criteri venisse eseguita la divisione patrimoniale delle due mense, del cardinale e dei monaci, ma rileviamo da una bolla di Urbano VIII che la riforma in realtà non comprese che San Salvatore ed uno dei priorati dipendenti. Avvenne intanto che al Montalto nel 1623 successe Francesco Orsini, il quale, tolto il pretesto che l'annessione della badia alla Congregazione ledeva i suoi interessi, e che la bolla del novembre 1615 era invalida, giacché non era stato interpellato in proposito, mentre II Montalto gli aveva ceduto la successione alla commenda fin dal 1613, fece revocare l'atto pontificio da Gregorio XV, suscitando cosi una lite con la Congregazione Cassinese che durò per oltre una trentina d'anni.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.442.
    «Dopo cinque anni di governo, nel 1627 il commendatario Francesco Orsini entrò nella Compagnia di Gesù, e gli succedé il cardinale Francesco Barberini, nipote di Urbano VIII che resse la badia dal 1627 al 1660, quando abdicò in favore del proprio fratello Carlo. Fu appunto sotto Francesco Barberini che suonò l'ultima ora pel troppo decaduto San Salvatore; giacché essendosene partiti i Cassinesi, i priori triennali che ne moderarono le sorti non valsero a riformare i monaci, che usavano financo vesti poco diverse da quelle dei secolari. Il popolo li chiamava «berrettanti» dal largo berretto clericale che li distingueva, ma Urbano VIII ne aveva un concetto cosi triste, che li giudicava inadatti a qualsiasi riforma. È vero che la bolla di Paolo V nel 1615 conteneva come una smentita anticipata all'opinione avversa dei Barberini, ma v'erano in giuoco troppi interessi, troppi calcoli pecuniari, perché si potesse realmente volere il restauro morale di San Salvatore. Il commendatario ne voleva ad ogni costo le pingui rendite, e innanzi alle cupide brame del cardinal nepote convenne cedere, cosi che Urbano VIII con un tratto di penna soppresse l'abbazia (che i 34 monaci che ancora facevano parte della comunità venissero secolarizzati, previo l'assegno dell'annua pensione di 10 scudi. I priorati dipendenti nelle diocesi di Fermo e di Montalto dovevano essere convertiti in altrettante collegiate canonicali, riservando alla diretta giurisdizione del commendatario le monache di Santa Vittoria, che altra volta dipendevano dal priore di quel cenobio; ma perché il servizio parrocchiale non ricevesse danno dalia mancanza dei Salvatoriani, in ciascun monastero è stabilito un vicario abbaziale coll'assegno annuo di 60 scudi, oltre un fondo speciale pel mantenimento degli edifici sacri. Alla lite già lunghi anni pendente colla Congregazione Cassinese viene imposto silenzio cosi che arbitrati, sentenze di Tribunali, decisioni rotali o pontificie, nulla insomma possa essere invocato contro l'onnipotente cardinal nepote, il quale dové ereditare senza disturbo d'alcun competitore tutta la potenza, i diritti e le ragioni dell'abbazia.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.438.
    «Quando nel 1627 Urbano VIII conferì la doppia commenda a suo nipote Francesco Barberini, con due brevi del 7 ottobre 1627 e 21 luglio 1628 lo creò in pari tempo governatore pontificio di Poggio Mirteto e delle altre torri e castelli, già separati dai monasteri di Farfa e di San Salvatore e fino a quel tempo soggetti alla Congregazione del Buon Governo e della Consulta. La potenza dei nobili congiunti del papa trovò cosi nella Sabina un solido appoggio e una fonte punto dispregevole di danaro; ma queste mire ambiziose non fecero che affrettare l'ultima ora della povera badia, onde San Salvatore, che aveva retto all'impeto dei barbari, ora non poté reggere all'urto dei Barberini che avidamente agognavano alle sue spoglie.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.444-445.
    «Del resto delle rendite, giusta la bolla del 1629, avrebbero dovuto fondarsi alcuni seminari per l'educazione del giovane clero abbazia, ma il disegno presto svanì; il breve de 1632 ne fece deporre del tutto il pensiero con tutto ciò l'idea del seminario abbaziale che era stato il genio nefasto che aveva ispirato la rovina di San Salvatore al cardinal Barberini, seguitò ancora per lunghi anni a turbare i quieti sonni dei commendatari. In sul principio il Barberini ne apri uno a Toffia, poco lungi da Farfa, nelle case del suo vicario generale Marco Ruffetti, e lo dotò in parte coll'eredità lasciatagli a tale scopo dal vicario, in parte coi proventi rilevati sui benefici ecclesiastici della Commenda, aggiungendovi da ultimo la famosa «quadam residua portione reddituunt mensae convertualis» (rimanendo intatta, s'intende, quella assai più pingue del commendatario) «Monasterii Sancti Salvatoris Maioris» (ma il resto dov'era andato?) e a San Salvatore si contentò di stipendiarvi un vicario foraneo e un sacerdote che v'insegnasse grammatica ai futuri candidati del seminario. Un breve d'Urbano VIII del 6 luglio 1637 approvò questo stato di cose, che poi nel sinodo farfense del 1685 venne nuovamente confermato dal cardinal Carlo Barberini e da tutta l'assemblea;»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.445.
    «Nel 1746 il cardinale (1738-1769) trasferì il seminario presso la sede abbaziale di San Salvatore dove rimase sin verso il 1841, non mancando d'educare alla Chiesa degli ecclesiastici di gran merito e di scienza non comune.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.446.
    «Dopo un breve soggiorno dei Passionisti sul deserto colle Letenano (1839-1854), quando il commendatario Lambruschini (1834-1841) ottenne da Gregorio XVI lo smembramento delle due diocesi abbaziali di Farfa e di San Salvator Maggiore (1841), con le terre di quest'ultima badia venne costituita in parte la nuova diocesi vescovile di Poggio Mirteto (1841), i di cui prelati hanno il titolo di abbati di San Salvatore, ne percepiscono gli ultimi rimasugli delle antiche rendite in favore del seminario diocesano. La destinazione dell'edificio monasteriale a residenza estiva dei giovani chierici delle diocesi di Rieti e di Poggio Mirteto (1880) fece si che la badia non venisse compresa entro gli ultimi decreti d'indemaniamento dell'asse ecclesiastico; ma, rispettata dalle leggi, non lo fu egualmente dagli uomini e dal tempo, si che oggi gli abbandonati chiostri, la basilica, le aule e gli ambulacri screpolati e deserti minacciano irreparabile rovina.»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.447.
    «Si erigono in Italia tanti tempi e monasteri nuovi; perché non viene a nessuno il pensiero di risuscitare l'antica tradizione storica del monte Letenano, restituendo alla Sabina il monastero di San Salvator Maggiore, nuovo focolare d'ideali religiosi fra il popolo e centro di progresso e di civiltà?»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.426-427. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.435.
    «Anche a Roma le ragioni dei monaci sulle loro chiese di San Martino e di San Salvatore «dompni Campi » nell'Arenula, non riscuotevano maggior rispetto. II Bovio ricorda che quest'ultima, prima che sotto Urbano venisse demolita, era a tre navi e sembrava antichissima. Negli atti delia visita apostolica del 1566 il rettore, un tal «Messer Luciano d'Anderocho (Antrodoco) appresso l'Aquila» dichiarò che apparteneva ai monaci di Farfa, mentre già da molti anni aveva cambiato padrone. L'altra di San Martino, probabilmente assai più antica dei monaco Gualteno di San Salvator Maggiore che l'avrebbe eretta nel 1220, passò dapprima in dominio della Confraternita della Dottrina Cristiana (1604), indi nel 1742 fu ceduta ai Fratelli di San Giacomo degli Spagnuoli, che nel demolirla, vi scoprirono una gran quantità d'ossa umane (130 teschi), manette, chiodi e coltella sotterrate presso l'altare maggiore. È ben difficile che si tratti di corpi di martiri romani estratti da¡ cimiteri, e mi bacina il sospetto che possano essere le vittime del massacro compiuto dai Saraceni del IX secolo sul monte Letenano»
    Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.439. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • Schuster, pag.435. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
  • L'abate Adenolfo (o Adinolfo), documentato a Farfa nel 1125, già abate di San Salvatore (Maggiore) come riportato dallo Schuster nel suo scritto del 1914 (Schuster) era in realtà abate del monastero di San Salvatore Minore di Scandriglia, come si evince dallo scritto dello stesso Schuster sull'Abbazia di San Salvatore (Minore) e la Massa Torana del 1918 (Schuster (1918)). Molti di quanti hanno scritto negli ultimi anni su San Salvatore Maggiore, non avendo letto attentamente il secondo scritto dello Schuster, sono incorsi nell'errore di continuare ad attribuire l'abate Adenolfo alla guida dell'abbazia di San Salvatore Maggiore. Tra questi anche l'attento Chisari ed il Grappa. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452. Giuseppe Chisari e Carlo De Paolis, L’Abbazia di San Salvatore Maggiore, in “Tra le abbazie del Lazio”, in Lunario Romano, Roma, F.lli Palombi Editori, 1988, pp. 111-126. Carlo Grappa, Sabina sacra e civile - Abbazie, castelli, chiese, palazzi, rocche e santuari situati nel territorio della provincia di Rieti, 2013.
  • Schuster, pag.446. Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.