In particolare l'armena della diasporaDiana Apcar aveva brevemente rappresentato in Giappone la Prima Repubblica di Armenia (1918-1920): tuttavia, contrariamente a quanto si è spesso scritto (si veda, a puro titolo d'esempio, Svetlana Aslanyan Women and Empowerment in Armenia: Traditions, Transitions and Current Politics, in Dovile Budryte, Lisa M. Vaughn e Natalya T. Riegg (a cura di), Feminist Conversations: Women, Trauma and Empowerment in Post-Transitional Societies, Lanham, University Press of America, 2009, p. 129, ISBN 978-0-7618-4378-8), pare difficile che l'Apcar abbia rivestito l'incarico formale di ambasciatrice in un paese in cui non c'era neppure una legazione ufficiale del suo paese, e sembra molto più verisimile quanto scrive circostanziatamente l'Armenian Cultural Foundation, e cioè che l'Apcar fu soltanto in effetti nominata, nel 1920, "console onorario", divenendo così «la prima donna-diplomatico armena, e probabilmente la prima donna in assoluto ad essere investita di un incarico diplomatico nel XX secolo» (cfr. Diana A. Apcar (1869-1937): The First Armenian Woman DiplomatArchiviato il 1º novembre 2013 in Internet Archive.). Affermazione quest'ultima però evidentemente inesatta in quanto tra la fine del 1918 e gli inizi del 1919, la femminista ungherese Rosika Schwimmer (1877-1948) aveva tenuto per un breve tempo la carica di ministra plenipotenziaria in Svizzera per la nuova repubblica magiara, durante i pochi mesi di vita di quest'ultima (cfr. Rosika Schwimmer, voce dell'Encyclopaedia Britannica).
bataillesocialiste.wordpress.com
Mémoires: Alexandra Kollontaï; «Preuves» n. 14, aprile 1952, pp. 12-24, p. 23. La trascrizione dell'articolo è reperibile online presso il sito La Battaille socialiste e contiene peraltro molti refusi, due con riferimento alla citazione qui riportata: "demi- Haine" al posto di "demi-douzaine" (mezza dozzina) e "police" al posto di "politique". In quanto pronunciate in via del tutto confidenziale quando il pericolo staliniano già incombeva, non esiste alcuna conferma da parte di fonte terza della veridicità delle parole attribuite alla Kollontaj, che appaiono peraltro molto verisimili.
britannica.com
In particolare l'armena della diasporaDiana Apcar aveva brevemente rappresentato in Giappone la Prima Repubblica di Armenia (1918-1920): tuttavia, contrariamente a quanto si è spesso scritto (si veda, a puro titolo d'esempio, Svetlana Aslanyan Women and Empowerment in Armenia: Traditions, Transitions and Current Politics, in Dovile Budryte, Lisa M. Vaughn e Natalya T. Riegg (a cura di), Feminist Conversations: Women, Trauma and Empowerment in Post-Transitional Societies, Lanham, University Press of America, 2009, p. 129, ISBN 978-0-7618-4378-8), pare difficile che l'Apcar abbia rivestito l'incarico formale di ambasciatrice in un paese in cui non c'era neppure una legazione ufficiale del suo paese, e sembra molto più verisimile quanto scrive circostanziatamente l'Armenian Cultural Foundation, e cioè che l'Apcar fu soltanto in effetti nominata, nel 1920, "console onorario", divenendo così «la prima donna-diplomatico armena, e probabilmente la prima donna in assoluto ad essere investita di un incarico diplomatico nel XX secolo» (cfr. Diana A. Apcar (1869-1937): The First Armenian Woman DiplomatArchiviato il 1º novembre 2013 in Internet Archive.). Affermazione quest'ultima però evidentemente inesatta in quanto tra la fine del 1918 e gli inizi del 1919, la femminista ungherese Rosika Schwimmer (1877-1948) aveva tenuto per un breve tempo la carica di ministra plenipotenziaria in Svizzera per la nuova repubblica magiara, durante i pochi mesi di vita di quest'ultima (cfr. Rosika Schwimmer, voce dell'Encyclopaedia Britannica).
fpabloiglesias.es
Mari Agop Firkatian, Diplomats and Dreamers: The Stancioff Family in Bulgarian History, Lanham et al., University Press of America, 2008, pp. 224–234, ISBN 978-0-7618-4069-5. In seguito, nel 1933, Ruth Bryan Owen (1885–1954), ricoprì per un paio di mesi l'incarico, di nomina politica, di ministra plenipotenziaria degli Stati Uniti d'America in Danimarca, mentre dal 1936 al 1939 la socialista ispanica Isabel Oyarzábal Smith (1878-1974) fu nominata, non formalmente "ambasciatrice", come invece spesso si legge, ma anche lei soltanto ministra plenipotenziaria in Svezia (e poi anche contestualmente incaricata d'affari in Finlandia) per la Seconda Repubblica Spagnola, legandosi fra l'altro d'amicizia con la Kollontaj, di cui avrebbe perfino pubblicato a New York una biografia nel 1947 («Oyarzábal Smith, Isabel», Diccionario Biográfico del Socialismo Español, Fundación Pablo Iglesias). Egualmente, «inviata straordinaria e ministra plenipotenziaria» fu la denominazione ufficiale dell'incarico conferito dal Messico a Palma Guillén y Sánchez (1898-1975), dal 1935 al 1937, prima in Colombia e poi in Danimarca (Mónica Verea e Graciela Hierro, Las mujeres en América del Norte al fin del milenio, UNAM/PUEG et al, 1998, p. 219, ISBN 9683673287).
La «contessa rossa» Sof'ja Vladimirovna Panina, esponente del Partito dei Cadetti, aveva già lavorato nel governo Kerenski qualche mese prima della nomina della Kollontaj, ma solo al livello di vice-ministra, prima della sicurezza sociale alle dipendenze di Dmitrij Ivanovič Šachovskoj, poi dell'educazione alle dipendenze di Sergej Fëdorovič Oldenburg (1863-1934), entrambi suoi compagni di partito (cfr. (EN) N. C. Noonan, Panina, Countess Sof'ia Vladimirovna (1871-1956), in Encyclopedia of Russian women's movements, Greenwood Publishing Group, 2001, pp. 49-50.).
hydrohistory.ru
Secondo Beatrice Farnsworth (Conversing with Stalin, p. 944), le iniziali si riferiscono a Aleksandr Aleksandrovič Satkevič (1869―1938), ingegnere idrologo, che era in relazioni di stretta amicizia con la Kollontaj dal periodo prerivoluzionario. Lei lo aveva salvato dall'esecuzione nel 1919 appellandosi personalmente a Lenin e facendone una questione personale di vita o di morte (voce su Satkevič nel sito russo Отечественные гидрологи - Историко-биографическое описание [Idrologi nazionali - Descrizione storica e biografica]). La Kollontaj di regola non riportava il nome completo degli amici nel suo diario.
Uscita di sicurezzaArchiviato il 1º marzo 2021 in Internet Archive., cover story sul magazine «Il maschile del Sole 24 ORE», 18 ottobre 2017 (precedentemente in AA.VV., Il dio che è fallito. Testimonianze sul comunismo, con introduzione di Giorgio Bocca, Milano, Dalai, 1997, ISBN 8885988040. Fra l'altro, concludeva Silone, «la Kollontaj aveva acquistato in Occidente il suo senso dell’ironia e ne faceva uso solo in conversazioni con gli occidentali.»
knowbysight.info
Secondo Antonio Moscato, dei ventuno membri del Comitato Centrale bolscevico dell'epoca della Rivoluzione d'Ottobre, solo due riuscirono a passare indenni le persecuzioni staliniane: Stalin stesso e la Kollontaj. Degli altri diciannove, due furono uccisi dai controrivoluzionari, cinque (tra cui Lenin) fecero in tempo a morire per varie cause prima dell'avvento di Stalin, mentre gli altri (evidentemente dodici) caddero tutti vittime di quest'ultimo, [La distruzione del partito bolscevico (capitolo del saggio: Lenin e Trotsky, le ragioni di una collaborazione), in Lenin/Trotsky, op. cit. supra], mettendo ovviamente nel numero anche Trockij fatto assassinare in Messico nel 1940. In effetti però anche Matvej Konstantinovič Muranov, fedele partigiano di Stalin, riuscì a sopravvivere (addirittura più a lungo di tutti, fino al 1959), e quindi il numero delle vittime deve essere definito esattamente in undici su ventuno, tutti quelli ancora in vita negli anni trenta oltre ai tre sopraindicati (per l'elenco e le date di morte dei membri del CC si veda (RU, IT) Naftali Hirschkowitz (a cura di), Comitato Centrale, eletto dal VI Congresso del POSDR(b) 3(16).8.1917, membri, su Guida alla storia del Partito Comunista e dell'Unione Sovietica 1898 - 1991, 2005–2020.). Sempre secondo i dati riportati da Moscato, percentuali anche superiori di perdite interessarono la dirigenza bolscevica a livello del Poltibjuro (del quale peraltro la Kollontaj non fece mai parte): di tutti i componenti di questo organismo all'atto della sua istituzione nel 1917 e poi dal 1918 al 1923, nessuno cadde vittima della controrivoluzione e solo Lenin e Stalin ebbero la ventura di morire nel proprio letto.
marxists.org
Allen, Alexander Shlyapnikov, pp. 178-179. Il testo integrale in inglese è reperibile online con il titolo Theses of the Workers Opposition, su marxists.org. URL consultato l'11 giugno 2022. Secondo John Simkin il 27 febbraio 1921 sindacalisti sostenitori dell'Opposizione operaia fecero uscire un manifesto in cui si reclamava addirittura la «libertà di parola, stampa e riunione per tutti coloro che lavorano»" e la «liberazione di tutti i lavoratori arrestati, socialisti e non affiliati» (Alexander Shlyapnikov presso Spartacus Educational). Tuttavia queste posizioni paiono piuttosto assimilabili a quelle degli insorti di Kronstadt che non all'Opposizione Operaia.
Allen, Alexander Shlyapnikov, pp. 180-181. Il testo del pamphlet della Kollontaj è reperibile online, in inglese, presso il Marxists Internet Archive
In questa occasione Trockij ridusse plasticamente al silenzio e all'obbedienza la recalcitrante Kollontaj. Solo pochi anni dopo avrebbe biasimato la rivoluzionaria, ormai doma, per aver in pratica imparato la lezione e per non essere rimasta recalcitrante fino alla fine. Come scrisse nelle sue memorie, «In Russia la Kolontay assunse fin dal primissimo momento una posizione di estrema sinistra, e non solo nei miei confronti, ma anche in quelli di Lenin. Portò avanti molte battaglie contro il regime "Lenin-Trotsky", solo per inchinarsi poi, in modo davvero toccante, a quello di Stalin» [(EN) Lev Trockij, My Life (PDF), a cura di Chris Russell per il Marxists Internet Archive (2000), New York, Charles Schribner’s Sons, 1930, p. 212.]
Lettera a Helga Kern, 26 luglio 1926, riprodotta dall'edizione Feltrinelli dell'Autobiografia (1975), a p. 67. Tale edizione costituisce la traduzione italiana (di Carlo Sallustro), con prefazione di Virginia Visani, dell'originale Autobiographie einer sexuell emanzipierten Kommunistin, a cura di Iring Fetscher, uscita per i tipi di Rogner & Bernhard di Monaco nel 1970. Essa riporta il lavoro di collazione, curato da Fetscher, di entrambe le redazioni scritte dalla Kollontaj, quella iniziale e quella successivamente purgata. Di entrambe le versioni si dà anche conto nella traduzione inglese del lavoro resa disponibile online dal sito Marxists Internet Archive.
Allen, Alexander Shlyapnikov, pp. 178-179. Il testo integrale in inglese è reperibile online con il titolo Theses of the Workers Opposition, su marxists.org. URL consultato l'11 giugno 2022. Secondo John Simkin il 27 febbraio 1921 sindacalisti sostenitori dell'Opposizione operaia fecero uscire un manifesto in cui si reclamava addirittura la «libertà di parola, stampa e riunione per tutti coloro che lavorano»" e la «liberazione di tutti i lavoratori arrestati, socialisti e non affiliati» (Alexander Shlyapnikov presso Spartacus Educational). Tuttavia queste posizioni paiono piuttosto assimilabili a quelle degli insorti di Kronstadt che non all'Opposizione Operaia.
Uscita di sicurezzaArchiviato il 1º marzo 2021 in Internet Archive., cover story sul magazine «Il maschile del Sole 24 ORE», 18 ottobre 2017 (precedentemente in AA.VV., Il dio che è fallito. Testimonianze sul comunismo, con introduzione di Giorgio Bocca, Milano, Dalai, 1997, ISBN 8885988040. Fra l'altro, concludeva Silone, «la Kollontaj aveva acquistato in Occidente il suo senso dell’ironia e ne faceva uso solo in conversazioni con gli occidentali.»
In particolare l'armena della diasporaDiana Apcar aveva brevemente rappresentato in Giappone la Prima Repubblica di Armenia (1918-1920): tuttavia, contrariamente a quanto si è spesso scritto (si veda, a puro titolo d'esempio, Svetlana Aslanyan Women and Empowerment in Armenia: Traditions, Transitions and Current Politics, in Dovile Budryte, Lisa M. Vaughn e Natalya T. Riegg (a cura di), Feminist Conversations: Women, Trauma and Empowerment in Post-Transitional Societies, Lanham, University Press of America, 2009, p. 129, ISBN 978-0-7618-4378-8), pare difficile che l'Apcar abbia rivestito l'incarico formale di ambasciatrice in un paese in cui non c'era neppure una legazione ufficiale del suo paese, e sembra molto più verisimile quanto scrive circostanziatamente l'Armenian Cultural Foundation, e cioè che l'Apcar fu soltanto in effetti nominata, nel 1920, "console onorario", divenendo così «la prima donna-diplomatico armena, e probabilmente la prima donna in assoluto ad essere investita di un incarico diplomatico nel XX secolo» (cfr. Diana A. Apcar (1869-1937): The First Armenian Woman DiplomatArchiviato il 1º novembre 2013 in Internet Archive.). Affermazione quest'ultima però evidentemente inesatta in quanto tra la fine del 1918 e gli inizi del 1919, la femminista ungherese Rosika Schwimmer (1877-1948) aveva tenuto per un breve tempo la carica di ministra plenipotenziaria in Svizzera per la nuova repubblica magiara, durante i pochi mesi di vita di quest'ultima (cfr. Rosika Schwimmer, voce dell'Encyclopaedia Britannica).