Nel 2006, Abdul Rahman, un convertito afghano che aveva abbandonato l'Islam abbracciando il Cristianesimo mentre lavorava in Germania, decise di pubblicizzare la sua conversione. La richiesta della corte innanzi alla quale fu tradotto fu quella della pena capitale, ma a causa delle pressioni internazionali e grazie all'opera dell'allora ministro degli Esteri Gianfranco Fini e dell'ambasciatore d'Italia Ettore Sequi, la Corte decise che l'apostata era mentalmente disadattato e che quindi non poteva essere perseguito. La provvidenziale ospitalità di un Paese occidentale che si disse da alcuni organi di stampa sarebbe stato l'Italia ma che, di fatto, rimase anonimo, forse per questioni di sicurezza (cfr. Rainews24 - Stampa del 28-3-2006 [1]), permise al governo di Kharza'i di uscire dalla situazione che si era venuta a creare, evitando di dar corso a una pena capitale che avrebbe suscitato vivacissime critiche nelle Potenze alleate che controllavano la sicurezza dell'Afghanistan messa a repentaglio dai Talebani e, dall'altra, di apparire come uno tiepido musulmano e troppo supinamente ligio alle direttive alleate agli occhi dell'opinione pubblica afghana, ancora fortemente attaccata ai valori tradizionali islamici, compresi quelli riguardanti il diritto penale.
usc.edu
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