Bruno Buozzi (Italian Wikipedia)

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adnkronos.com

www1.adnkronos.com

agi.it

archivio.agi.it

  • Cfr. "Priebke: già nel 1994 un libro sull'assassinio Bruno Buozzi"[collegamento interrotto], articolo dell'AGI del 6 giugno 1996.

anpi.it

  • Anche Quarello era ben conosciuto da Buozzi, avendo questi collaborato alla nascita di una sezione di operai metallurgici annessa alle prime "Leghe bianche" di Torino ed avendo ospitato nella sede della sua organizzazione i sindacati socialisti dopo che gli squadristi torinesi ebbero incendiato la Camera del Lavoro del capoluogo piemontese. Gioacchino Quarello, su ANPI, 25 luglio 2010. URL consultato il 2 settembre 2022 (archiviato il 22 dicembre 2021).

anpiginolombardiversilia.it

  • Cfr. Lavinia Di Gianvito, "Cassazione: Erich Priebke non merita alcun risarcimento", in corrieredellasera.it del 1º aprile 2010 e "NO AL RISARCIMENTO PER IL LIBRO SULL'ECCIDIO LA STORTA" Archiviato l'11 ottobre 2014 in Internet Archive. nel sito dell'ANPI Versilia del 31 marzo 2010.
    La decisione della Corte di Cassazione appare dettata da un certo "cerchiobottismo": da un lato, non esistendo alcuna prova della responsabilità di Priebke nell'ordine di "eliminare" i prigionieri a La Storta, questi era da considerarsi "innocente" di tale crimine, tant'è che l'autore del libro e la casa editrice vennero condannati per diffamazione dal Tribunale di Roma, rilevando che nel libro di de Simone vi era stata una «grave violazione dell'obbligo di rigorosa corrispondenza tra i fatti accaduti e quelli narrati, escludendo la scriminante della verità putativa in ordine al cosiddetto episodio di La Storta». Di conseguenza, secondo il Tribunale, l'ex-ufficiale nazista aveva diritto al risarcimento del danno pecuniario.
    Dall'altro lato, la Corte d'Appello, di fronte alla paradossale situazione per cui Priebke, dimostrato responsabile di aver esercitato violenze ed efferate torture ai prigionieri di Via Tasso (cfr. L'ho riconosciuto, è lui che mi torturava, in Corriere della Sera (archiviato dall'url originale il 9 maggio 2015)., la sentenza del 22 luglio 1997 del Tribunale militare di Roma e la sentenza del 7 marzo 1998 della Corte militare d'Appello di Roma, emesse sull'eccidio delle Fosse Ardeatine, citate in una nota precedente) e condannato in via definitiva all'ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine, potesse lucrare un risarcimento per il danno determinato alla sua "onorabilità" dall'accusa di essere stato responsabile anche di un'altra strage, pur affermando che non risultava provato che fosse stato Priebke ad ordinare il massacro in cui morì Buozzi, escluse la sussistenza del "danno non patrimoniale" e, quindi, il diritto al risarcimento.
    La Cassazione, dopo aver dichiarato che «ogni individuo come persona umana va tutelato nella sua dignità anche quando la sua reputazione risulti lesa per altri fatti criminali per i quali sia stato riconosciuto colpevole», rigettò comunque il ricorso di Priebke, perché questi non aveva fornito la prova dell'effettiva lesione della sua onorabilità, prova invero "diabolica" per una persona la cui "reputazione risulti lesa per altri fatti criminali".
    La sentenza della Cassazione è leggibile per esteso nel sito web "Persona e danno.it" Archiviato il 2 febbraio 2017 in Internet Archive.

antoniopizzinato.it

cgil.it

archivio.fiom.cgil.it

chieracostui.com

corriere.it

roma.corriere.it

  • Cfr. Lavinia Di Gianvito, "Cassazione: Erich Priebke non merita alcun risarcimento", in corrieredellasera.it del 1º aprile 2010 e "NO AL RISARCIMENTO PER IL LIBRO SULL'ECCIDIO LA STORTA" Archiviato l'11 ottobre 2014 in Internet Archive. nel sito dell'ANPI Versilia del 31 marzo 2010.
    La decisione della Corte di Cassazione appare dettata da un certo "cerchiobottismo": da un lato, non esistendo alcuna prova della responsabilità di Priebke nell'ordine di "eliminare" i prigionieri a La Storta, questi era da considerarsi "innocente" di tale crimine, tant'è che l'autore del libro e la casa editrice vennero condannati per diffamazione dal Tribunale di Roma, rilevando che nel libro di de Simone vi era stata una «grave violazione dell'obbligo di rigorosa corrispondenza tra i fatti accaduti e quelli narrati, escludendo la scriminante della verità putativa in ordine al cosiddetto episodio di La Storta». Di conseguenza, secondo il Tribunale, l'ex-ufficiale nazista aveva diritto al risarcimento del danno pecuniario.
    Dall'altro lato, la Corte d'Appello, di fronte alla paradossale situazione per cui Priebke, dimostrato responsabile di aver esercitato violenze ed efferate torture ai prigionieri di Via Tasso (cfr. L'ho riconosciuto, è lui che mi torturava, in Corriere della Sera (archiviato dall'url originale il 9 maggio 2015)., la sentenza del 22 luglio 1997 del Tribunale militare di Roma e la sentenza del 7 marzo 1998 della Corte militare d'Appello di Roma, emesse sull'eccidio delle Fosse Ardeatine, citate in una nota precedente) e condannato in via definitiva all'ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine, potesse lucrare un risarcimento per il danno determinato alla sua "onorabilità" dall'accusa di essere stato responsabile anche di un'altra strage, pur affermando che non risultava provato che fosse stato Priebke ad ordinare il massacro in cui morì Buozzi, escluse la sussistenza del "danno non patrimoniale" e, quindi, il diritto al risarcimento.
    La Cassazione, dopo aver dichiarato che «ogni individuo come persona umana va tutelato nella sua dignità anche quando la sua reputazione risulti lesa per altri fatti criminali per i quali sia stato riconosciuto colpevole», rigettò comunque il ricorso di Priebke, perché questi non aveva fornito la prova dell'effettiva lesione della sua onorabilità, prova invero "diabolica" per una persona la cui "reputazione risulti lesa per altri fatti criminali".
    La sentenza della Cassazione è leggibile per esteso nel sito web "Persona e danno.it" Archiviato il 2 febbraio 2017 in Internet Archive.

difesa.it

  • La sentenza sull'eccidio delle Fosse Ardeatine emessa il 22 luglio 1997 dal Tribunale militare di Roma (cfr. sentenza di condanna di primo grado) ha evidenziato, circa il ruolo svolto dal Priebke all'interno del Comando militare tedesco di via Tasso, che:
    - egli si era accattivato la fiducia di Kappler, per il quale operava anche come ufficiale di collegamento presso l'Ambasciata tedesca di Roma;
    - l'imputato era inquadrato nell'ambito del IV Reparto della Polizia di sicurezza, alle dirette dipendenze del capitano Schütz e, nonostante quanto sostenuto dal Priebke medesimo nelle sue dichiarazioni spontanee, egli aveva partecipato all'arresto ed agli interrogatori di coloro che erano stati imprigionati in via Tasso, usando nei loro confronti ed in vario modo violenza; ciò sulla base di numerose deposizioni testimoniali. In particolare, Luciano Ficca, all'udienza del 23 maggio 1997, aveva ricordato che Priebke durante un interrogatorio lo aveva minacciato impugnando un nerbo di bue; Giovanni Gigliozzi, all'udienza del 5 giugno 1997, aveva riferito che Arrigo Paladini gli aveva detto di essere stato colpito con un pugno di ferro da Priebke allo stomaco e ai genitali; Teresa Mattei, all'udienza del 6 giugno 1997, aveva ricordato che Kappler ebbe a riferire a padre Pfeifer che Gianfranco Mattei «era un comunista silenzioso che solo Priebke con i suoi mezzi chimici e fisici poteva farlo parlare»; Maria Teresa Regard, all'udienza del 6 giugno 1997, produsse copia di una denuncia di Carla Angelini, detenuta in Via Tasso, nella quale costei riferiva di essere stata arrestata dal «tenente Primbek»; Elvira Sabatini, all'udienza del 23 maggio 1997, aveva confermato quanto scritto dal marito Arrigo Paladini, in un documento autografo acquisito agli atti di causa, relativamente al modo di fare di Priebke durante gli interrogatori e di un malvagio inganno da costui perpetrato nei suoi confronti. Dal riconoscimento di tale importante ruolo dell'ufficiale delle SS nel carcere di via Tasso, il Tribunale militare giunse alla conclusione che «il Priebke, diretto dipendente del Kappler, verrà chiamato a collaborare nella preparazione della strage [delle Fosse Ardeatine - N.d.E.], partecipando a formare gli elenchi dei martiri da passare per le armi e successivamente controllandoli al loro arrivo alla Cave, in posizione di assoluta preminenza organizzativa [...] ]». A sua volta, la Corte militare d'Appello di Roma, nella sua sentenza del 7 marzo 1998 sull'eccidio delle Fosse Ardeatine (cfr. sentenza di condanna d'appelloArchiviato il 21 settembre 2021 in Internet Archive.), ebbe a ritenere che, dal materiale probatorio individuato dal giudice di primo grado, dalle deposizioni del Kappler, dalle stesse dichiarazioni - utilizzabili - del Priebke e dell'Hass, si potesse senz'altro pervenire alla conclusione che il Priebke fosse stato, se non il principale, uno degli uomini di massima fiducia del Kappler nell'organizzazione romana delle SS. Ciò in considerazione di quanto riferito dallo stesso imputato nel suo esame all'udienza preliminare del 3 aprile 1996: «Io sono stato mandato da Berlino, nel febbraio del 1941, come ufficiale di collegamento all'ambasciata tedesca di Roma, nell'ufficio di Kappler perché lui era solo ed io dovevo aiutarlo nel lavoro che era di tipo amministrativo; da lì viene detto che sono il secondo di Kappler; eravamo solamente in due... quando è caduto il governo Badoglio l'ambasciata ha chiuso e si è formato il comando». Entrato nella polizia politica nel dicembre del 1936, come funzionario criminale, il Priebke svolse una brillante carriera anche grazie alla sua conoscenza delle lingue straniere; nel 1937 diventò Commissario nel ramo delle SS, con il grado di tenente; nel 1941 venne trasferito a Roma, come secondo di Kappler, risultando quindi avere con costui il più risalente rapporto di servizio. Di Kappler egli divenne «amico» e continuò a sentirlo come tale anche nel periodo della sua detenzione in Italia, in espiazione dell'ergastolo (p. 28 della trascrizione dell'esame del Priebke all'udienza preliminare). All'epoca dei fatti, quando l'ufficio «burocratico» del Kappler era già da tempo diventato un «comando» di polizia di sicurezza, dotato di numerosi ufficiali e organizzato in settori, corrispondenti ai settori organizzativi di tutte le R.S.H.A., il Priebke - promosso capitano nel 1943 - fu assegnato all'ufficio IV (polizia politica) alle dipendenze del pari grado Cap. Schütz; tale ufficio si trovava in Via Tasso e da esso dipendeva il carcere sito nello stesso comprensorio (così nelle dichiarazioni del Kappler, rese il 4 agosto 1947, in sede di interrogatorio in istruttoria, f.19). A detta dello stesso Priebke, il Kappler gli assegnò il «compito... di stare al fianco del Cap. Schütz per le relazioni con i privati, perché il capitano aveva un carattere irascibile e Kappler voleva evitare qualunque suo contatto con il pubblico italiano» (dichiarazioni spontanee all'odierna udienza [7 marzo 1998 – N.d.E.]). Lo Schütz era infatti noto per la sua arroganza e collericità, doti che agli occhi del Kappler lo rendevano impresentabile all'esterno; il Priebke, ben più controllato e freddo, oltreché conoscitore della lingua italiana, era quindi la persona ideale per stemperare il clima in caso di necessità: un compito delicato che il Kappler assegnò al suo collaboratore più fidato e che la dice lunga su quale fosse la reale gerarchia nell'organizzazione poliziesca di Via Tasso. Nello svolgimento della sua attività presso quell'ufficio e in particolare nella conduzione del carcere Priebke svolse sicuramente un ruolo di primissimo piano quanto alle torture inferte ai prigionieri politici. Oltre alle concordanti ed eloquenti dichiarazioni elencate nella sentenza del Tribunale Militare di Roma, sono anche da menzionare la dichiarazione di Ettore Artale resa l'11 novembre 1946 (confermata il 5 dicembre 1946, dinnanzi al p.m., p. 1557 atti p.m.), il quale attribuisce al Priebke il comando delle carceri di via Tasso, aggiungendo «di queste sevizie ritengo costui direttamente responsabile», le testimonianze Ficca (udienza del 23 maggio 1997), il quale riferisce di essere stato interrogato da Priebke a Via Tasso sotto l'implicita minaccia dell'uso di un frustino, Tompkins (udienza del 5 giugno 1997), il quale riferisce di aver saputo da due partigiani che il Priebke picchiava, e Pellegrini (udienza del 23 maggio 1997), che pure riferisce di analoghe voci circolanti nel carcere di Regina Coeli.
  • Cfr. Lavinia Di Gianvito, "Cassazione: Erich Priebke non merita alcun risarcimento", in corrieredellasera.it del 1º aprile 2010 e "NO AL RISARCIMENTO PER IL LIBRO SULL'ECCIDIO LA STORTA" Archiviato l'11 ottobre 2014 in Internet Archive. nel sito dell'ANPI Versilia del 31 marzo 2010.
    La decisione della Corte di Cassazione appare dettata da un certo "cerchiobottismo": da un lato, non esistendo alcuna prova della responsabilità di Priebke nell'ordine di "eliminare" i prigionieri a La Storta, questi era da considerarsi "innocente" di tale crimine, tant'è che l'autore del libro e la casa editrice vennero condannati per diffamazione dal Tribunale di Roma, rilevando che nel libro di de Simone vi era stata una «grave violazione dell'obbligo di rigorosa corrispondenza tra i fatti accaduti e quelli narrati, escludendo la scriminante della verità putativa in ordine al cosiddetto episodio di La Storta». Di conseguenza, secondo il Tribunale, l'ex-ufficiale nazista aveva diritto al risarcimento del danno pecuniario.
    Dall'altro lato, la Corte d'Appello, di fronte alla paradossale situazione per cui Priebke, dimostrato responsabile di aver esercitato violenze ed efferate torture ai prigionieri di Via Tasso (cfr. L'ho riconosciuto, è lui che mi torturava, in Corriere della Sera (archiviato dall'url originale il 9 maggio 2015)., la sentenza del 22 luglio 1997 del Tribunale militare di Roma e la sentenza del 7 marzo 1998 della Corte militare d'Appello di Roma, emesse sull'eccidio delle Fosse Ardeatine, citate in una nota precedente) e condannato in via definitiva all'ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine, potesse lucrare un risarcimento per il danno determinato alla sua "onorabilità" dall'accusa di essere stato responsabile anche di un'altra strage, pur affermando che non risultava provato che fosse stato Priebke ad ordinare il massacro in cui morì Buozzi, escluse la sussistenza del "danno non patrimoniale" e, quindi, il diritto al risarcimento.
    La Cassazione, dopo aver dichiarato che «ogni individuo come persona umana va tutelato nella sua dignità anche quando la sua reputazione risulti lesa per altri fatti criminali per i quali sia stato riconosciuto colpevole», rigettò comunque il ricorso di Priebke, perché questi non aveva fornito la prova dell'effettiva lesione della sua onorabilità, prova invero "diabolica" per una persona la cui "reputazione risulti lesa per altri fatti criminali".
    La sentenza della Cassazione è leggibile per esteso nel sito web "Persona e danno.it" Archiviato il 2 febbraio 2017 in Internet Archive.

favacarpendiem.wordpress.com

fondazionenenni.wordpress.com

ladige.it

personaedanno.it

  • Cfr. Lavinia Di Gianvito, "Cassazione: Erich Priebke non merita alcun risarcimento", in corrieredellasera.it del 1º aprile 2010 e "NO AL RISARCIMENTO PER IL LIBRO SULL'ECCIDIO LA STORTA" Archiviato l'11 ottobre 2014 in Internet Archive. nel sito dell'ANPI Versilia del 31 marzo 2010.
    La decisione della Corte di Cassazione appare dettata da un certo "cerchiobottismo": da un lato, non esistendo alcuna prova della responsabilità di Priebke nell'ordine di "eliminare" i prigionieri a La Storta, questi era da considerarsi "innocente" di tale crimine, tant'è che l'autore del libro e la casa editrice vennero condannati per diffamazione dal Tribunale di Roma, rilevando che nel libro di de Simone vi era stata una «grave violazione dell'obbligo di rigorosa corrispondenza tra i fatti accaduti e quelli narrati, escludendo la scriminante della verità putativa in ordine al cosiddetto episodio di La Storta». Di conseguenza, secondo il Tribunale, l'ex-ufficiale nazista aveva diritto al risarcimento del danno pecuniario.
    Dall'altro lato, la Corte d'Appello, di fronte alla paradossale situazione per cui Priebke, dimostrato responsabile di aver esercitato violenze ed efferate torture ai prigionieri di Via Tasso (cfr. L'ho riconosciuto, è lui che mi torturava, in Corriere della Sera (archiviato dall'url originale il 9 maggio 2015)., la sentenza del 22 luglio 1997 del Tribunale militare di Roma e la sentenza del 7 marzo 1998 della Corte militare d'Appello di Roma, emesse sull'eccidio delle Fosse Ardeatine, citate in una nota precedente) e condannato in via definitiva all'ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine, potesse lucrare un risarcimento per il danno determinato alla sua "onorabilità" dall'accusa di essere stato responsabile anche di un'altra strage, pur affermando che non risultava provato che fosse stato Priebke ad ordinare il massacro in cui morì Buozzi, escluse la sussistenza del "danno non patrimoniale" e, quindi, il diritto al risarcimento.
    La Cassazione, dopo aver dichiarato che «ogni individuo come persona umana va tutelato nella sua dignità anche quando la sua reputazione risulti lesa per altri fatti criminali per i quali sia stato riconosciuto colpevole», rigettò comunque il ricorso di Priebke, perché questi non aveva fornito la prova dell'effettiva lesione della sua onorabilità, prova invero "diabolica" per una persona la cui "reputazione risulti lesa per altri fatti criminali".
    La sentenza della Cassazione è leggibile per esteso nel sito web "Persona e danno.it" Archiviato il 2 febbraio 2017 in Internet Archive.

rassegna.it

  • Così Giuseppe Di Vittorio raccontò le sue vicende carcerarie con Bruno Buozzi a Parigi:
    «Il nostro incontro avvenne nel febbraio 1941, nella prigione de La Santé. Ignoravo che anche Buozzi si trovasse rinchiuso nella stessa prigione.
    Un giorno, verso la fine di febbraio, la polizia hitleriana addetta alle funzioni carcerarie, trasse dalla monotonia delle celle d'isolamento un folto gruppo di detenuti per una corvée. Bisognava scaricare alcuni autocarri carichi di eccellente pane, destinato ai nostri carcerieri. Fummo raggruppati in un cortile, dal quale poi, per gruppi di dieci detenuti in fila indiana, scortati da guardie armate di mitra, si partiva carichi di sacchi ripieni di pagnotte, verso i magazzini dell'immensa prigione.
    Fu in quel raggruppamento di detenuti comandati alla corvée che rividi Bruno Buozzi. Appena i nostri occhi si incontrarono, con moto quasi istintivo manovrammo entrambi accortamente per avvicinarci l'uno all'altro. Riuscimmo appena a toccarci furtivamente le mani, giacché la severissima vigilanza dei nostri aguzzini tendeva a rendere impossibile ogni scambio di parole e di segni fra detenuti. Vidi gli occhi amichevoli di Buozzi brillare di gioia nel vedermi: ero la prima persona conosciuta e amica che incontrava in quella triste prigione, nello stato di angoscia in cui lo aveva gettato l'arresto.
    «Per me non m'importa nulla», mi disse subito: «mi preoccupa il grande dolore di mia moglie e della mia bambina, poveretti!».
    Un urlo da belva emesso da uno dei nostri guardiani, che aveva sentito il bisbiglio di quelle poche parole, troncò sull'inizio la nostra conversazione. Tuttavia riuscimmo a rimanere nello stesso gruppo di dieci e a marciare l'uno dopo l'altro nella corvée. Mentre salivamo uno scalone, curvi sotto il carico del pane, riuscii a dire a Buozzi parole di conforto per la sua famiglia e cercai di sapere le cause del suo arresto. Buozzi mi disse che la Gestapo hitleriana, ignara della sua vera personalità, voleva sapere da lui i motivi del suo arresto, dato ch'egli era stato arrestato su richiesta del governo fascista italiano, per essere trasferito in Italia, a disposizione di Mussolini. Bruno Buozzi aveva appena completato la frase, che uno dei nostri guardiani, con uno spintone improvviso a Buozzi - che mi precedeva - ci sbatté a terra entrambi, facendoci ruzzolare sulle scale, col nostro carico di pane, coprendoci d'improperi e di minacce. Fummo subito separati e riportati ognuno nella propria cella, col rimpianto di non aver potuto continuare il discorso e con le narici inondate dalla fragranza di quel pane fresco, che la fame ci faceva sognare ogni notte!
    Da quel momento, però, con la tecnica nota ai vecchi carcerati politici, riuscii a stabilire collegamenti quasi regolari con Buozzi mediante lo scambio di biglietti, con i quali ci mandavamo notizie e pensieri e qualche cibaria. Dopo alcuni giorni riuscimmo sovente a prendere l'ora d'aria quotidiana nello stesso cortile, dove la possibilità e la volontà dei detenuti di conversare fra loro sono più forti della più occhiuta vigilanza. Tutte le nostre conversazioni, partendo dal presupposto comune dell'assoluta necessità dell'unità sindacale, nazionale e internazionale, e dall'esigenza imperiosa dell'unità d'azione fra i due partiti, comunista e socialista - quale base fondamentale d'unità della classe operaia - rafforzavano continuamente il nostro accordo sulle questioni di maggiore interesse, relative alla riorganizzazione del movimento operaio italiano e alla ricostituzione democratica dell'Italia.
    Onore e gloria alla memoria di Bruno Buozzi!».
    da «Lavoro», n. 23, 6 giugno 1954, riportato in Rassegna Sindacale Archiviato il 13 gennaio 2017 in Internet Archive., il quotidiano online della CGIL.
  • Cfr. «Il Lavoro» del 4 luglio 1945, riportato in Rassegna Sindacale Archiviato il 13 gennaio 2017 in Internet Archive. quotidiano online della CGIL.

repubblica.it

repubblica.it

ricerca.repubblica.it

treccani.it

web.archive.org

  • Il 31 gennaio 1881 nasce Bruno Buozzi, su favacarpendiem.wordpress.com. URL consultato il 6 settembre 2022 (archiviato il 31 marzo 2022).
  • Così Giuseppe Di Vittorio raccontò le sue vicende carcerarie con Bruno Buozzi a Parigi:
    «Il nostro incontro avvenne nel febbraio 1941, nella prigione de La Santé. Ignoravo che anche Buozzi si trovasse rinchiuso nella stessa prigione.
    Un giorno, verso la fine di febbraio, la polizia hitleriana addetta alle funzioni carcerarie, trasse dalla monotonia delle celle d'isolamento un folto gruppo di detenuti per una corvée. Bisognava scaricare alcuni autocarri carichi di eccellente pane, destinato ai nostri carcerieri. Fummo raggruppati in un cortile, dal quale poi, per gruppi di dieci detenuti in fila indiana, scortati da guardie armate di mitra, si partiva carichi di sacchi ripieni di pagnotte, verso i magazzini dell'immensa prigione.
    Fu in quel raggruppamento di detenuti comandati alla corvée che rividi Bruno Buozzi. Appena i nostri occhi si incontrarono, con moto quasi istintivo manovrammo entrambi accortamente per avvicinarci l'uno all'altro. Riuscimmo appena a toccarci furtivamente le mani, giacché la severissima vigilanza dei nostri aguzzini tendeva a rendere impossibile ogni scambio di parole e di segni fra detenuti. Vidi gli occhi amichevoli di Buozzi brillare di gioia nel vedermi: ero la prima persona conosciuta e amica che incontrava in quella triste prigione, nello stato di angoscia in cui lo aveva gettato l'arresto.
    «Per me non m'importa nulla», mi disse subito: «mi preoccupa il grande dolore di mia moglie e della mia bambina, poveretti!».
    Un urlo da belva emesso da uno dei nostri guardiani, che aveva sentito il bisbiglio di quelle poche parole, troncò sull'inizio la nostra conversazione. Tuttavia riuscimmo a rimanere nello stesso gruppo di dieci e a marciare l'uno dopo l'altro nella corvée. Mentre salivamo uno scalone, curvi sotto il carico del pane, riuscii a dire a Buozzi parole di conforto per la sua famiglia e cercai di sapere le cause del suo arresto. Buozzi mi disse che la Gestapo hitleriana, ignara della sua vera personalità, voleva sapere da lui i motivi del suo arresto, dato ch'egli era stato arrestato su richiesta del governo fascista italiano, per essere trasferito in Italia, a disposizione di Mussolini. Bruno Buozzi aveva appena completato la frase, che uno dei nostri guardiani, con uno spintone improvviso a Buozzi - che mi precedeva - ci sbatté a terra entrambi, facendoci ruzzolare sulle scale, col nostro carico di pane, coprendoci d'improperi e di minacce. Fummo subito separati e riportati ognuno nella propria cella, col rimpianto di non aver potuto continuare il discorso e con le narici inondate dalla fragranza di quel pane fresco, che la fame ci faceva sognare ogni notte!
    Da quel momento, però, con la tecnica nota ai vecchi carcerati politici, riuscii a stabilire collegamenti quasi regolari con Buozzi mediante lo scambio di biglietti, con i quali ci mandavamo notizie e pensieri e qualche cibaria. Dopo alcuni giorni riuscimmo sovente a prendere l'ora d'aria quotidiana nello stesso cortile, dove la possibilità e la volontà dei detenuti di conversare fra loro sono più forti della più occhiuta vigilanza. Tutte le nostre conversazioni, partendo dal presupposto comune dell'assoluta necessità dell'unità sindacale, nazionale e internazionale, e dall'esigenza imperiosa dell'unità d'azione fra i due partiti, comunista e socialista - quale base fondamentale d'unità della classe operaia - rafforzavano continuamente il nostro accordo sulle questioni di maggiore interesse, relative alla riorganizzazione del movimento operaio italiano e alla ricostituzione democratica dell'Italia.
    Onore e gloria alla memoria di Bruno Buozzi!».
    da «Lavoro», n. 23, 6 giugno 1954, riportato in Rassegna Sindacale Archiviato il 13 gennaio 2017 in Internet Archive., il quotidiano online della CGIL.
  • Foto della lapide ed il suo testo, su chieracostui.com. URL consultato il 6 settembre 2022 (archiviato il 24 ottobre 2021).
  • Cfr. Mario Oppedisano, La vita di Sandro Pertini nel sito web del "Centro Culturale Sandro Pertini" di Genova. Inizialmente, l'unico liberato da Ventotene fu proprio Pertini, in quanto, al momento, era l'unico socialista ivi ristretto (ad esempio, Pietro Nenni si trovava al confino nella vicina isola di Ponza) e il provvedimento di scarcerazione del governo Badoglio non comprendeva anarchici e comunisti. Dapprima Pertini rifiutò di lasciare l'isola finché non fossero stati liberati tutti, poi su insistenza di molti compagni del comitato dei confinati che lo invitarono a recarsi a Roma per sollecitare Badoglio per far liberare anche gli altri, si decise a partire.
  • Anche Quarello era ben conosciuto da Buozzi, avendo questi collaborato alla nascita di una sezione di operai metallurgici annessa alle prime "Leghe bianche" di Torino ed avendo ospitato nella sede della sua organizzazione i sindacati socialisti dopo che gli squadristi torinesi ebbero incendiato la Camera del Lavoro del capoluogo piemontese. Gioacchino Quarello, su ANPI, 25 luglio 2010. URL consultato il 2 settembre 2022 (archiviato il 22 dicembre 2021).
  • Gino Mazzone e Claudio Scarcelli, Dalle Commissioni interne alle Rsu come sono cambiate le forme della rappresentanza dei lavoratori, su archivio.fiom.cgil.it. URL consultato il 6 settembre 2022 (archiviato il 10 maggio 2021).
  • La sentenza sull'eccidio delle Fosse Ardeatine emessa il 22 luglio 1997 dal Tribunale militare di Roma (cfr. sentenza di condanna di primo grado) ha evidenziato, circa il ruolo svolto dal Priebke all'interno del Comando militare tedesco di via Tasso, che:
    - egli si era accattivato la fiducia di Kappler, per il quale operava anche come ufficiale di collegamento presso l'Ambasciata tedesca di Roma;
    - l'imputato era inquadrato nell'ambito del IV Reparto della Polizia di sicurezza, alle dirette dipendenze del capitano Schütz e, nonostante quanto sostenuto dal Priebke medesimo nelle sue dichiarazioni spontanee, egli aveva partecipato all'arresto ed agli interrogatori di coloro che erano stati imprigionati in via Tasso, usando nei loro confronti ed in vario modo violenza; ciò sulla base di numerose deposizioni testimoniali. In particolare, Luciano Ficca, all'udienza del 23 maggio 1997, aveva ricordato che Priebke durante un interrogatorio lo aveva minacciato impugnando un nerbo di bue; Giovanni Gigliozzi, all'udienza del 5 giugno 1997, aveva riferito che Arrigo Paladini gli aveva detto di essere stato colpito con un pugno di ferro da Priebke allo stomaco e ai genitali; Teresa Mattei, all'udienza del 6 giugno 1997, aveva ricordato che Kappler ebbe a riferire a padre Pfeifer che Gianfranco Mattei «era un comunista silenzioso che solo Priebke con i suoi mezzi chimici e fisici poteva farlo parlare»; Maria Teresa Regard, all'udienza del 6 giugno 1997, produsse copia di una denuncia di Carla Angelini, detenuta in Via Tasso, nella quale costei riferiva di essere stata arrestata dal «tenente Primbek»; Elvira Sabatini, all'udienza del 23 maggio 1997, aveva confermato quanto scritto dal marito Arrigo Paladini, in un documento autografo acquisito agli atti di causa, relativamente al modo di fare di Priebke durante gli interrogatori e di un malvagio inganno da costui perpetrato nei suoi confronti. Dal riconoscimento di tale importante ruolo dell'ufficiale delle SS nel carcere di via Tasso, il Tribunale militare giunse alla conclusione che «il Priebke, diretto dipendente del Kappler, verrà chiamato a collaborare nella preparazione della strage [delle Fosse Ardeatine - N.d.E.], partecipando a formare gli elenchi dei martiri da passare per le armi e successivamente controllandoli al loro arrivo alla Cave, in posizione di assoluta preminenza organizzativa [...] ]». A sua volta, la Corte militare d'Appello di Roma, nella sua sentenza del 7 marzo 1998 sull'eccidio delle Fosse Ardeatine (cfr. sentenza di condanna d'appelloArchiviato il 21 settembre 2021 in Internet Archive.), ebbe a ritenere che, dal materiale probatorio individuato dal giudice di primo grado, dalle deposizioni del Kappler, dalle stesse dichiarazioni - utilizzabili - del Priebke e dell'Hass, si potesse senz'altro pervenire alla conclusione che il Priebke fosse stato, se non il principale, uno degli uomini di massima fiducia del Kappler nell'organizzazione romana delle SS. Ciò in considerazione di quanto riferito dallo stesso imputato nel suo esame all'udienza preliminare del 3 aprile 1996: «Io sono stato mandato da Berlino, nel febbraio del 1941, come ufficiale di collegamento all'ambasciata tedesca di Roma, nell'ufficio di Kappler perché lui era solo ed io dovevo aiutarlo nel lavoro che era di tipo amministrativo; da lì viene detto che sono il secondo di Kappler; eravamo solamente in due... quando è caduto il governo Badoglio l'ambasciata ha chiuso e si è formato il comando». Entrato nella polizia politica nel dicembre del 1936, come funzionario criminale, il Priebke svolse una brillante carriera anche grazie alla sua conoscenza delle lingue straniere; nel 1937 diventò Commissario nel ramo delle SS, con il grado di tenente; nel 1941 venne trasferito a Roma, come secondo di Kappler, risultando quindi avere con costui il più risalente rapporto di servizio. Di Kappler egli divenne «amico» e continuò a sentirlo come tale anche nel periodo della sua detenzione in Italia, in espiazione dell'ergastolo (p. 28 della trascrizione dell'esame del Priebke all'udienza preliminare). All'epoca dei fatti, quando l'ufficio «burocratico» del Kappler era già da tempo diventato un «comando» di polizia di sicurezza, dotato di numerosi ufficiali e organizzato in settori, corrispondenti ai settori organizzativi di tutte le R.S.H.A., il Priebke - promosso capitano nel 1943 - fu assegnato all'ufficio IV (polizia politica) alle dipendenze del pari grado Cap. Schütz; tale ufficio si trovava in Via Tasso e da esso dipendeva il carcere sito nello stesso comprensorio (così nelle dichiarazioni del Kappler, rese il 4 agosto 1947, in sede di interrogatorio in istruttoria, f.19). A detta dello stesso Priebke, il Kappler gli assegnò il «compito... di stare al fianco del Cap. Schütz per le relazioni con i privati, perché il capitano aveva un carattere irascibile e Kappler voleva evitare qualunque suo contatto con il pubblico italiano» (dichiarazioni spontanee all'odierna udienza [7 marzo 1998 – N.d.E.]). Lo Schütz era infatti noto per la sua arroganza e collericità, doti che agli occhi del Kappler lo rendevano impresentabile all'esterno; il Priebke, ben più controllato e freddo, oltreché conoscitore della lingua italiana, era quindi la persona ideale per stemperare il clima in caso di necessità: un compito delicato che il Kappler assegnò al suo collaboratore più fidato e che la dice lunga su quale fosse la reale gerarchia nell'organizzazione poliziesca di Via Tasso. Nello svolgimento della sua attività presso quell'ufficio e in particolare nella conduzione del carcere Priebke svolse sicuramente un ruolo di primissimo piano quanto alle torture inferte ai prigionieri politici. Oltre alle concordanti ed eloquenti dichiarazioni elencate nella sentenza del Tribunale Militare di Roma, sono anche da menzionare la dichiarazione di Ettore Artale resa l'11 novembre 1946 (confermata il 5 dicembre 1946, dinnanzi al p.m., p. 1557 atti p.m.), il quale attribuisce al Priebke il comando delle carceri di via Tasso, aggiungendo «di queste sevizie ritengo costui direttamente responsabile», le testimonianze Ficca (udienza del 23 maggio 1997), il quale riferisce di essere stato interrogato da Priebke a Via Tasso sotto l'implicita minaccia dell'uso di un frustino, Tompkins (udienza del 5 giugno 1997), il quale riferisce di aver saputo da due partigiani che il Priebke picchiava, e Pellegrini (udienza del 23 maggio 1997), che pure riferisce di analoghe voci circolanti nel carcere di Regina Coeli.
  • Cfr. MIRIAM MAFAI, "PRIEBKE ASSASSINO DI BUOZZI LA VERITA'SU UNA STRAGE", articolo in Repubblica.it del 6 giugno 1996. Archiviato il 2 febbraio 2017 in Internet Archive.
  • ERICH PRIEBKE: NUOVE TESTIMONIANZE SU STRAGE LA STORTA, su Adnkronos, 13 ottobre 1998. URL consultato il 7 settembre 2022 (archiviato il 23 settembre 2020).
  • Cfr. Lavinia Di Gianvito, "Cassazione: Erich Priebke non merita alcun risarcimento", in corrieredellasera.it del 1º aprile 2010 e "NO AL RISARCIMENTO PER IL LIBRO SULL'ECCIDIO LA STORTA" Archiviato l'11 ottobre 2014 in Internet Archive. nel sito dell'ANPI Versilia del 31 marzo 2010.
    La decisione della Corte di Cassazione appare dettata da un certo "cerchiobottismo": da un lato, non esistendo alcuna prova della responsabilità di Priebke nell'ordine di "eliminare" i prigionieri a La Storta, questi era da considerarsi "innocente" di tale crimine, tant'è che l'autore del libro e la casa editrice vennero condannati per diffamazione dal Tribunale di Roma, rilevando che nel libro di de Simone vi era stata una «grave violazione dell'obbligo di rigorosa corrispondenza tra i fatti accaduti e quelli narrati, escludendo la scriminante della verità putativa in ordine al cosiddetto episodio di La Storta». Di conseguenza, secondo il Tribunale, l'ex-ufficiale nazista aveva diritto al risarcimento del danno pecuniario.
    Dall'altro lato, la Corte d'Appello, di fronte alla paradossale situazione per cui Priebke, dimostrato responsabile di aver esercitato violenze ed efferate torture ai prigionieri di Via Tasso (cfr. L'ho riconosciuto, è lui che mi torturava, in Corriere della Sera (archiviato dall'url originale il 9 maggio 2015)., la sentenza del 22 luglio 1997 del Tribunale militare di Roma e la sentenza del 7 marzo 1998 della Corte militare d'Appello di Roma, emesse sull'eccidio delle Fosse Ardeatine, citate in una nota precedente) e condannato in via definitiva all'ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine, potesse lucrare un risarcimento per il danno determinato alla sua "onorabilità" dall'accusa di essere stato responsabile anche di un'altra strage, pur affermando che non risultava provato che fosse stato Priebke ad ordinare il massacro in cui morì Buozzi, escluse la sussistenza del "danno non patrimoniale" e, quindi, il diritto al risarcimento.
    La Cassazione, dopo aver dichiarato che «ogni individuo come persona umana va tutelato nella sua dignità anche quando la sua reputazione risulti lesa per altri fatti criminali per i quali sia stato riconosciuto colpevole», rigettò comunque il ricorso di Priebke, perché questi non aveva fornito la prova dell'effettiva lesione della sua onorabilità, prova invero "diabolica" per una persona la cui "reputazione risulti lesa per altri fatti criminali".
    La sentenza della Cassazione è leggibile per esteso nel sito web "Persona e danno.it" Archiviato il 2 febbraio 2017 in Internet Archive.
  • Il testo del Patto di Roma, firmato il 9 giugno 1944 (PDF), su antoniopizzinato.it. URL consultato il 6 settembre 2022 (archiviato il 7 marzo 2022).
  • Cfr. Pietro Nenni, Cosa avrebbe detto Bruno Buozzi, discorso tenuto al Teatro Adriano di Roma, il 4 luglio 1944, riportato nel blog della "Fondazione Nenni"Archiviato il 28 marzo 2022 in Internet Archive.
  • Cfr. «Il Lavoro» del 4 luglio 1945, riportato in Rassegna Sindacale Archiviato il 13 gennaio 2017 in Internet Archive. quotidiano online della CGIL.
  • Cfr. Marco Patucchi, Roma 1944, finalmente un nome per l'eroe inglese della Storta, su la Repubblica.it, Gruppo Editoriale L'Espresso, 31 marzo 2007. URL consultato il 6 settembre 2022 (archiviato il 15 maggio 2021).
  • Cfr. Marco Patucchi, Ora ha anche un volto la spia uccisa dai nazisti, su la Repubblica.it, Gruppo Editoriale L'Espresso, 22 giugno 2007. URL consultato il 6 settembre 2022 (archiviato il 15 maggio 2021).
  • Cfr. Federica Angeli, Verano, scoperta la tomba dell'inglese ucciso dai nazi, su la Repubblica.it, Gruppo Editoriale L'Espresso, 22 novembre 2008. URL consultato il 6 settembre 2022 (archiviato l'11 gennaio 2018).
  • Cfr. Marco Patucchi, Roma rende onore a Gabor Adler la spia inglese uccisa dai nazisti, su la Repubblica.it, Gruppo Editoriale L'Espresso, 4 giugno 2009. URL consultato il 6 settembre 2022 (archiviato il 15 maggio 2021).