"Da questo stato d'animo sorse, improvvisa, la collera. Il capitano sentì l'angustia in cui la legge lo costringeva a muoversi; come i suoi sottoufficiali vagheggiò un eccezionale potere, una eccezionale libertà di azione: e sempre questo vagheggiamento aveva condannato nei suoi marescialli. Una eccezionale sospensione delle garanzie costituzionali, in Sicilia e per qualche mese: e il male sarebbe stato estirpato per sempre. Ma gli vennero alla memoria le repressioni di Mori, il fascismo: e ritrovò la misura delle proprie idee, dei propri sentimenti. Ma durava la collera, la sua collera di uomo del nord che investiva la Sicilia intera: questa regione che, sola in Italia, dalla dittatura fascista aveva avuto in effetti libertà, la libertà che è nella sicurezza della vita e dei beni. Quante altre libertà questa loro libertà era costata, i siciliani non sapevano e non volevano sapere: avevano visto sul banco degli imputati, nei grandi processi delle assise, tutti i don e gli zii, i potenti capi elettori e i commendatori della Corona, medici ed avvocati che si intrigavano alla malavita o la proteggevano; magistrati deboli o corrotti erano stati destituiti; funzionari compiacenti allontanati. Per il contadino, per il piccolo proprietario, per il pastore, per lo zolfataro, la dittatura parlava questo linguaggio di libertà. «E questa è forse la ragione per cui in Sicilia – pensava il capitano – ci sono tanti fascisti: non è che loro abbiano visto il fascismo solo come una pagliacciata e noi, dopo l'otto settembre, l'abbiamo sofferto come una tragedia, non è soltanto questo; è che nello stato in cui si trovavano una sola libertà gli bastava, e delle altre non sapevano che farsene». Ma non era ancora sereno giudizio, Il giorno della civetta. Leonardo Sciascia. Einaudi.