Lo stesso presso cui aveva trovato appoggio il letterato − dallo Stigliani accostato al Marino − Gian Francesco Biondi, che nel 1608 era entrato in contatto con ambienti protestanti e aveva importato a Venezia svariati libri antipapisti (sul Biondi cfr. Dizionario Biografico degli italiani; per il suo accostamento al Marino cfr. A. N. Mancini, Romanzi e romanzieri del Seicento, Napoli 1981, pp. 66-67).
Di Giacomo Castelvetro, nipote del celebre Ludovico, aveva a suo tempo scritto Paolo Sarpi: «Castelvetro è uomo da bene compitamente, ma non ha dramma di prudenza, e non vi è in Venezia uomo più osservato da li romani di lui» (lettera a Francesco Castrino del 3 agosto 1610, citata in Russo, Studi..., p. 194). Nel settembre 1611 Giacomo era stato imprigionato dall'Inquisizione; liberato grazie al sollecito interessamento dell'allora ambasciatore inglese presso la Serenissima, Dudley Carleton, aveva infine trovato rifugio in Inghilterra (su Giacomo Castelvetro cfr. la relativa voce in Dizionario biografico degli italiani).
Sull'intera vicenda delle condanne cfr. Clizia Carminati, Giovan Battista Marino tra inquisizione..., passim. La condanna del 1625, la prima a essere resa pubblica, suscitò una pluridecennale mobilitazione degli estimatori di Giovan Battista Marino, soprattutto dei letterati gravitanti intorno all'Accademia degli Umoristi, che si adoperarono a vario titolo presso le autorità ecclesiastiche per arrivare a soluzioni di compromesso. L'operazione si concretizzò, fra l'altro, nella produzione di biografie "agiografiche" e di un'"apologetica" marinista diretta contro i detrattori del poeta (in primis lo Stigliani dell'Occhiale). Quanto al decreto di condanna all'Indice, esso fu propiziato dal maestro del Sacro Palazzo, il tomista domenicano Niccolò Riccardi (soprannominato "padre Mostro"), ambiguo censore di Galileo Galilei e strenuo persecutore di Tommaso Campanella (cfr. la voce su Niccolo Riccardi in Dizionario biografico degli italiani).