Analysis of information sources in references of the Wikipedia article "Giovanni Boccaccio" in Italian language version.
«Ma il genio linguistico di Dante e del Petrarca li trasferiva necessariamente in un'attualità perenne, trascendente i limiti della loro storica contingenza [...] Altra eera la situazione del Boccaccio, ricavare dal quale, come fece il Bembo, un modello intangibile di prosa....non si poteva senza incorrere in gravi forzature. Anzitutto: la prosa di cui il Boccaccio era proposto a modello, eera esclusivamente prosa narrativa.»
«Un tipo di rapporto evidente nei prestiti e negli scambi di manoscritti, per i quali Boccaccio è estremamente liberale, e Petrarca avarissimo.»
«Ma ancora più funesto divenne subito quell'arrivo [a Napoli]: perché presto gli giunse la notizia che mentre compiva il viaggio gli era morta la piccola e cara Violante.»
«In prosa e orazione soluta, chi ha letto il Boccaccio, uomo dottissimo e facundissimo, facilmente giudicherà singulare e sola al mondo non solamente la invenzione, ma la copia et eloquenzia sua; e considerando l'opera sua del Decameron, per la diversità della materia, ora grave, ora mediocre e ora bassa, e contenente tutte le perturbazioni che agli uomini possono accadere, d'amore e odio, timore e speranza, tante nuove astuzie e ingegni, e avendo a exprimere tutte le nature e passioni degli uomini che si trovono al mondo, sanza controversia giudicherà nessuna lingua meglio che la nostra essere atta a exprimere.»
«Con Midas Boccaccio denuncia l’inaffidabilità di Niccolò Acciaiuoli, vendicandosi del “tradimento” dell’influente amico.»
«Il Salutati... innalzò un lamento altissimo nell'Ep. III 25 a Francescuolo da Brossano: "vigesima quidem prima die decembris Boccaccius noster interiit...»
«Egli aveva forse voluto sfruttare così la notorietà delle dimore parigine del padre per decorare di colori fascinosi lo squallido mattino di sua vita, proprio mentre l'ambizione di affermarsi e brillare letterariamente e mondanamente alla Corte di Napoli»
«...la matrigna era imparentata con la famiglia di Beatrice, e proprio la madre di lei Lippa de' Mardoli fu, con ogni probabilità, la "fededegna persona" che "per consanguinità strettissima a lei" molto parlò al Boccaccio di Beatrice e di Dante stesso.»
«Il re non fu, certo, un uomo di genio né, come parve al Petrarca, un sapiente, ma entro i limiti che gli furono consentiti protesse letterati, giuristi, poeti, bibliografi, raccolse una biblioteca per i suoi tempi preziosa e fu egli stesso curioso di molte curiosità.»
«...e in testa al volgarizzamento della quarta deca liviana, ormai attribuito con estrema probabilità al Boccaccio..., leggiamo la dedica: "al nobile cavaliere messere Ostagio da Polenta, spezialissimo mio signore, ad istanza del quale ad opera così grande io mi disposi".»
«Del pari ignoto al Petrarca fu Marziale [...] Inoltre il Boccaccio scoperse il codice di Tacito [...] Sembra pertanto ragionevole concludere che la scoperta del De lingua latina [di Varrone] spetti al Boccaccio [...] erano intanto ignoti al Petrarca l'Ibis di Ovidio...»
«...il Boccaccio fu amaramente sorpreso, anzi offeso, dalla decisione del magister, rientrato in Italia solo nel giugno del '53, di stabilirsi presso l'arcivescovo Giovanni Visconti»
«L’invio del codice di Varrone e Cicerone deve essere avvenuto quindi poco dopo quello di Agostino...»
«..che forse... [Boccaccio] raccolse commosso anche in quella occasione ricordi sul Poeta che aveva illuminato fin dalla fanciullezza la sua ansia di poesia.»
«Ma ancora più funesto divenne subito quell'arrivo [a Napoli]: perché presto gli giunse la notizia che mentre compiva il viaggio gli era morta la piccola e cara Violante.»
«Ma, come il suo maestro Petrarca, scelse la condizione di chierico: la cosa è documentata da una bolla di papa Innocenzo VI del 2 novembre 1360, che gli concedeva l'autorizzazione ad avere cura d'anime e a esercitare il sacerdozio.»
«Leonzio si presentò, probabilmente all'inizio dell'estate del 1360 [...] Nei due anni e mezzo circa che passò a Firenze (fino all'ottobre-novembre 1362).»
«Inclyte cur vates, humili sermone locutus, / de te pertransis? [...] te vulgo mille labores / percelebrem faciunt: etas te nulla silebit.»
«Perché, o celebre poeta, che hai cantato nel volgare idioma, / avanzi nel corso del tempo? [...] Mille fatiche ti rendono celebre presso il volgo / : nessuna epoca tacerà sul tuo conto.»
«Il re non fu, certo, un uomo di genio né, come parve al Petrarca, un sapiente, ma entro i limiti che gli furono consentiti protesse letterati, giuristi, poeti, bibliografi, raccolse una biblioteca per i suoi tempi preziosa e fu egli stesso curioso di molte curiosità.»
«Le lettere all'Acciaiuoli, certi accenni dell'Ameto e della Fiammetta mostrano quanto il B[occaccio] soffrisse di questo distacco da un mondo di care consuetudini e con quanta amarezza contrapponesse il ricordo di quelle "delizie mondane" all'uggia della nuova dimora "oscura e muta e molto trista".»
«Nella primavera del '62 si presentava al B[occaccio] un monaco, con un messaggio per lui del certosino senese Pietro Petroni, morto poco prima in fama di santità: veniva a ricordargli la morte incombente e a consigliargli di abbandonare gli studi profani [...] In un primo momento, profondamente turbato, avrebbe voluto bruciare subito tutti i suoi scritti e proponeva al Petrarca di vendergli la sua biblioteca.»
«Il Salutati, a Firenze, sperando che si offrisse così occasione di avere in Italia un maestro di greco, forse spronò Roberto Rossi e Iacopo d'Angelo della Scarperia a recarsi a Venezia, donde poi Iacopo d'Angelo accompagnò il Crisolora nel ritorno a Costantinopoli. Della cosa si occupò anche la repubblica fiorentina, che il 24 marzo 1396 decretava la condotta del Crisolora allo Studio. Egli giunse il 2 febbraio 1397 e vi iniziò le lezioni, a cui accorsero studiosi anche di fuori.»
«Ne derivarono attenti esercizi di ricostruzione storico-biografica [...] dei grandi della letteratura delle origini, Dante e soprattutto Boccaccio, indagati in aspetti sostanziali (e ancora ignorati) della loro vita e della formazione intellettuale e umana.»
«Poi lesse tutto ciò che gli capitava tra le mani e tutto mischiato: le cansos dei trovatori e le Metamorfosi di Apuleio, Dante e Ovidio, trattati filosofici e romans francesi, Andrea Cappellano e Stazio...»
«Con Midas Boccaccio denuncia l’inaffidabilità di Niccolò Acciaiuoli, vendicandosi del “tradimento” dell’influente amico.»
«Erano, quindi, anni intensi di studio da un lato, e di dolore dall'altro, che avevano messo a dura prova il suo spirito, agitato da preoccupazioni religiose, come ci è attestato da alcune sue egloghe latine di questo periodo, e dai suoi rapporti con la Chiesa che abbiamo appena accennati. In questo contesto un fatto ancor più grave viene a sconvolgere l'equilibrio del suo spirito: nella primavera del '62, va a fargli visita a Firenze, in gran mistero, il monaco Gioacchino Ciani, il quale, da parte del certosino senese Pietro Petroni, morto qualche anno prima in odore di santità, si faceva premura d'informarlo di certe rivelazioni avute da quel sant'uomo, prima di morire: per esse, lo spensierato scrittore avrebbe dovuto aspettarsi la morte entro poco tempo e quindi avrebbe dovuto prepararvisi seriamente, rinunziando alle seduzioni della poesia profana, per dedicarsi tutto ad argomenti più elevati di religione e di morale. Il povero Boccaccio rimane come fulminato da questo avviso, ch'egli, nel turbamento dell'animo suo, non dubitava fosse ispirato dalla misericordia divina; la paura della morte lo invade a tal punto, che viene tentato di dare alle fiamme tutte le sue carte e di finirla con la gloria di questo mondo. Fortunatamente, ha la prudenza di consigliarsi col suo grande amico Petrarca che gli risponde con tale nobiltà e opportunità di argomenti, da dissipare ogni timore e farlo persistere negli studi prediletti.»
«...Boccaccio rifiuta di fermarsi. Si è ormai sfaldata l’immagine idealizzata della città partenopea, miraggio salvifico nei periodi più difficili della sua vita, scalzata dall’otium certaldese, ubicazione adesso preferita a qualunque altra possibile.»
«Vincenzio Borghini (1515-1580) è il filologo fiorentino, priore nel monastero benedettino della sua città, che pose mano, per invito e sotto il pungolo dell'inquisitore romano Tommaso Manriquez a purgare, nello spirito della Controriforma, il Decameron di Giovanni Boccaccio tra il 1573 e il 1574. Ne scaturirono l'edizione "rassettata", o per meglio dire sconciata, ma anche le Annotazioni dello stesso Borghini, documento di alta e consapevole considerazione del testo.»