Questo epiteto è oggi molto diffuso (Si veda ad esempio l'articolo di Mohand Ferratus "La Jeanne d'Arc du Djurdjura ![collegamento interrotto]", Tasafut 48 (agosto 2006): 10) anche se non è chiaro chi sia stato il primo a usarlo. MoltiArchiviato il 2 dicembre 2010 in Internet Archive. l'attribuiscono all'orientalista francese Louis Massignon che, pur non usando letteralmente quest'espressione, in una sua celebre preghiera a Santa Giovanna d'Arco, risalente al 17 agosto 1956, in piena guerra d'Algeria, così si esprimeva: "La tua sorella cabila, Lalla Faţma di Soumeur, aveva presentito questa prova cento anni or sono, quando, rivestita del suo rosso mantello, aveva indotto le [sic] centocinquantasette musabbilūn di Tichkirt a incatenarsi, volontarie della morte, all'ingresso dei loro villaggi che erano stati invasi" (Massignon 1995, p. 153). Sembra improbabile la versione, peraltro alquanto diffusa, secondo la quale sarebbe stato il maresciallo Randon stesso a esclamare, dopo averla catturata: «voilà donc la Jeanne d'Arc du Djurdjura» (Ferratus 2006, cit.), dal momento che le narrazioni dell'incontro in fonti contemporanee tacciono su questo episodio (ad esempio Carrey 1858: 282-283). All'epoca era molto diffusa, presso i francesi, la denominazione "druidesse" o "prophetesse" (Carrey 1858: 268 e passim). Bertherand (1862): 287 la chiama "la Velléda kabyle" (Velleda fu una druidessa che guidò la rivolta dei Batavi contro Vespasiano).
bnf.fr
gallica.bnf.fr
Diverse descrizioni dell'eroina accennano ad una sua certa pinguedine (embonpoint), compensata però dalla bellezza del viso. La descrizione apparsa sul Journal des débats politiques et littéraires del 27/7/1857, p. 2Archiviato il 9 marzo 2016 in Internet Archive. amplifica questo tratto: "la Fatma è una specie di idolo cinese, dal capo abbastanza bello ma tatuata su tutto il corpo e di una pinguedine così prodigiosa che quattro uomini faticavano ad aiutarla a camminare". Probabilmente è sulla base di descrizioni come questa che Mulleneux Walmsley (1858): 366 la definisce "statuaria come una regina (ma vecchia e brutta)" (stately as a queen (though an old and an ugly one)),
giudicandola anche anziana nonostante avesse all'epoca meno di trent'anni.
Un resoconto ufficiale parla di "duecento donne prigioniere e bambini in numero proporzionale" (Journal des débats politiques et littéraires 22/7/1857Archiviato l'8 marzo 2016 in Internet Archive.). Secondo questo stesso resoconto "queste donne furono rilasciate l'indomani e rimandate alle loro case con delle buone parole".
In una corrispondenza datata 6 luglio (e pubblicata, tra gli altri, dal Journal des débats politiques et littéraires del 17 luglio 1857Archiviato il 28 marzo 2013 in Internet Archive.), Randon scriveva: "... e di tante tribù irriducibili (insoumises), [...] ne restano solo tre, i beni Touragh, gli Illilten e i Beni Hidjer, scossi, esitanti e già in trattative (en pourparlers)".
La cattura viene descritta da diverse fonti, tra cui Carrey (1858): 279-280. Se le versioni più ufficiali descrivono in termini di rispetto il momento della cattura, una relazione anonima di un combattente, pubblicata sul Journal des débats politiques et littéraires del 27/7/1857Archiviato il 9 marzo 2016 in Internet Archive., segnala che "tutti i soldati gridavano: Largo alla regina di Parma! e facevano sul suo conto mille motteggi buoni e cattivi."
L'aneddoto è stato narrato per la prima volta da Perret(1886-1887): vol. II, p. 132-133: Chérif, ta barbe ne deviendra jamais du foin e la frase è riferita anche in altre fontiArchiviato il 9 agosto 2010 in Internet Archive.. Bitam (2000): 78, la riproduce in francese in modo leggermente diverso (Chérif, ta barbe n'est pas du foin "la tua barba non è fieno!"), proponendo un possibile corrispettivo in cabilo: tamart-ik mačči d ahicuṛ!. Comunque, la parola per barba (tamart) in berbero significa anche "onore" (soprattutto virile): cf. Dallet (1982): 512 s.v. tamart; si veda anche Miloud Taïfi, "Sémantique et symbolique de la barbe dans la culture populaire marocaineArchiviato il 29 aprile 2015 in Internet Archive.", Awal 29 (2004): 43-50. "Dire di un uomo che la sua barba si è mutata in fieno significa anche che egli ha perduto il suo amor proprio" (Perret, loc. cit.).
I dati sulle perdite francesi provengono da Carrey (1858): 128 e coincidono con quelli di Hanoteau (1867): 140. Sulle perdite dei cabili non si hanno notizie precise. Secondo Carrey (loc. cit.) "Il pio fanatismo con cui i Cabili portano via i loro feriti e i loro caduti rende impossibile una valutazione esatta delle loro perdite. Ma 67 cadaveri dei loro, ritrovati sia dietro le loro barricate, sia nei dirupi della montagna il giorno stesso del combattimento e nei giorni successivi, testimoniano le perdite da essi subite". Bitam (2000): 108-109 conferma, sulla base di fonti orali attendibili, che i caduti vennero trasferiti per essere sepolti nelle rispettive tribù. Quelli della confederazione di Lalla Fadhma furono sepolti nella località di Aqchur, dove sarebbero ancora visibili delle tombe. Nel 2006 sarebbero state scoperte numerose sepolture di caduti a Icherriden (addirittura 650 secondo l'articolo di Abdenour Bouhireb "Revoltes de Fadhma n'Soumer et el Mokrani - Des centaines de sépultures découvertes au village d'IcharidhenArchiviato il 12 giugno 2015 in Internet Archive.", Le Soir d'Algérie, dimanche 26 novembre 2006, p.4).
revues-plurielles.org
L'aneddoto è stato narrato per la prima volta da Perret(1886-1887): vol. II, p. 132-133: Chérif, ta barbe ne deviendra jamais du foin e la frase è riferita anche in altre fontiArchiviato il 9 agosto 2010 in Internet Archive.. Bitam (2000): 78, la riproduce in francese in modo leggermente diverso (Chérif, ta barbe n'est pas du foin "la tua barba non è fieno!"), proponendo un possibile corrispettivo in cabilo: tamart-ik mačči d ahicuṛ!. Comunque, la parola per barba (tamart) in berbero significa anche "onore" (soprattutto virile): cf. Dallet (1982): 512 s.v. tamart; si veda anche Miloud Taïfi, "Sémantique et symbolique de la barbe dans la culture populaire marocaineArchiviato il 29 aprile 2015 in Internet Archive.", Awal 29 (2004): 43-50. "Dire di un uomo che la sua barba si è mutata in fieno significa anche che egli ha perduto il suo amor proprio" (Perret, loc. cit.).
tasafut.org
Questo epiteto è oggi molto diffuso (Si veda ad esempio l'articolo di Mohand Ferratus "La Jeanne d'Arc du Djurdjura ![collegamento interrotto]", Tasafut 48 (agosto 2006): 10) anche se non è chiaro chi sia stato il primo a usarlo. MoltiArchiviato il 2 dicembre 2010 in Internet Archive. l'attribuiscono all'orientalista francese Louis Massignon che, pur non usando letteralmente quest'espressione, in una sua celebre preghiera a Santa Giovanna d'Arco, risalente al 17 agosto 1956, in piena guerra d'Algeria, così si esprimeva: "La tua sorella cabila, Lalla Faţma di Soumeur, aveva presentito questa prova cento anni or sono, quando, rivestita del suo rosso mantello, aveva indotto le [sic] centocinquantasette musabbilūn di Tichkirt a incatenarsi, volontarie della morte, all'ingresso dei loro villaggi che erano stati invasi" (Massignon 1995, p. 153). Sembra improbabile la versione, peraltro alquanto diffusa, secondo la quale sarebbe stato il maresciallo Randon stesso a esclamare, dopo averla catturata: «voilà donc la Jeanne d'Arc du Djurdjura» (Ferratus 2006, cit.), dal momento che le narrazioni dell'incontro in fonti contemporanee tacciono su questo episodio (ad esempio Carrey 1858: 282-283). All'epoca era molto diffusa, presso i francesi, la denominazione "druidesse" o "prophetesse" (Carrey 1858: 268 e passim). Bertherand (1862): 287 la chiama "la Velléda kabyle" (Velleda fu una druidessa che guidò la rivolta dei Batavi contro Vespasiano).
web.archive.org
Questo epiteto è oggi molto diffuso (Si veda ad esempio l'articolo di Mohand Ferratus "La Jeanne d'Arc du Djurdjura ![collegamento interrotto]", Tasafut 48 (agosto 2006): 10) anche se non è chiaro chi sia stato il primo a usarlo. MoltiArchiviato il 2 dicembre 2010 in Internet Archive. l'attribuiscono all'orientalista francese Louis Massignon che, pur non usando letteralmente quest'espressione, in una sua celebre preghiera a Santa Giovanna d'Arco, risalente al 17 agosto 1956, in piena guerra d'Algeria, così si esprimeva: "La tua sorella cabila, Lalla Faţma di Soumeur, aveva presentito questa prova cento anni or sono, quando, rivestita del suo rosso mantello, aveva indotto le [sic] centocinquantasette musabbilūn di Tichkirt a incatenarsi, volontarie della morte, all'ingresso dei loro villaggi che erano stati invasi" (Massignon 1995, p. 153). Sembra improbabile la versione, peraltro alquanto diffusa, secondo la quale sarebbe stato il maresciallo Randon stesso a esclamare, dopo averla catturata: «voilà donc la Jeanne d'Arc du Djurdjura» (Ferratus 2006, cit.), dal momento che le narrazioni dell'incontro in fonti contemporanee tacciono su questo episodio (ad esempio Carrey 1858: 282-283). All'epoca era molto diffusa, presso i francesi, la denominazione "druidesse" o "prophetesse" (Carrey 1858: 268 e passim). Bertherand (1862): 287 la chiama "la Velléda kabyle" (Velleda fu una druidessa che guidò la rivolta dei Batavi contro Vespasiano).
L'aneddoto è stato narrato per la prima volta da Perret(1886-1887): vol. II, p. 132-133: Chérif, ta barbe ne deviendra jamais du foin e la frase è riferita anche in altre fontiArchiviato il 9 agosto 2010 in Internet Archive.. Bitam (2000): 78, la riproduce in francese in modo leggermente diverso (Chérif, ta barbe n'est pas du foin "la tua barba non è fieno!"), proponendo un possibile corrispettivo in cabilo: tamart-ik mačči d ahicuṛ!. Comunque, la parola per barba (tamart) in berbero significa anche "onore" (soprattutto virile): cf. Dallet (1982): 512 s.v. tamart; si veda anche Miloud Taïfi, "Sémantique et symbolique de la barbe dans la culture populaire marocaineArchiviato il 29 aprile 2015 in Internet Archive.", Awal 29 (2004): 43-50. "Dire di un uomo che la sua barba si è mutata in fieno significa anche che egli ha perduto il suo amor proprio" (Perret, loc. cit.).
I dati sulle perdite francesi provengono da Carrey (1858): 128 e coincidono con quelli di Hanoteau (1867): 140. Sulle perdite dei cabili non si hanno notizie precise. Secondo Carrey (loc. cit.) "Il pio fanatismo con cui i Cabili portano via i loro feriti e i loro caduti rende impossibile una valutazione esatta delle loro perdite. Ma 67 cadaveri dei loro, ritrovati sia dietro le loro barricate, sia nei dirupi della montagna il giorno stesso del combattimento e nei giorni successivi, testimoniano le perdite da essi subite". Bitam (2000): 108-109 conferma, sulla base di fonti orali attendibili, che i caduti vennero trasferiti per essere sepolti nelle rispettive tribù. Quelli della confederazione di Lalla Fadhma furono sepolti nella località di Aqchur, dove sarebbero ancora visibili delle tombe. Nel 2006 sarebbero state scoperte numerose sepolture di caduti a Icherriden (addirittura 650 secondo l'articolo di Abdenour Bouhireb "Revoltes de Fadhma n'Soumer et el Mokrani - Des centaines de sépultures découvertes au village d'IcharidhenArchiviato il 12 giugno 2015 in Internet Archive.", Le Soir d'Algérie, dimanche 26 novembre 2006, p.4).
Diverse descrizioni dell'eroina accennano ad una sua certa pinguedine (embonpoint), compensata però dalla bellezza del viso. La descrizione apparsa sul Journal des débats politiques et littéraires del 27/7/1857, p. 2Archiviato il 9 marzo 2016 in Internet Archive. amplifica questo tratto: "la Fatma è una specie di idolo cinese, dal capo abbastanza bello ma tatuata su tutto il corpo e di una pinguedine così prodigiosa che quattro uomini faticavano ad aiutarla a camminare". Probabilmente è sulla base di descrizioni come questa che Mulleneux Walmsley (1858): 366 la definisce "statuaria come una regina (ma vecchia e brutta)" (stately as a queen (though an old and an ugly one)),
giudicandola anche anziana nonostante avesse all'epoca meno di trent'anni.
Un resoconto ufficiale parla di "duecento donne prigioniere e bambini in numero proporzionale" (Journal des débats politiques et littéraires 22/7/1857Archiviato l'8 marzo 2016 in Internet Archive.). Secondo questo stesso resoconto "queste donne furono rilasciate l'indomani e rimandate alle loro case con delle buone parole".
In una corrispondenza datata 6 luglio (e pubblicata, tra gli altri, dal Journal des débats politiques et littéraires del 17 luglio 1857Archiviato il 28 marzo 2013 in Internet Archive.), Randon scriveva: "... e di tante tribù irriducibili (insoumises), [...] ne restano solo tre, i beni Touragh, gli Illilten e i Beni Hidjer, scossi, esitanti e già in trattative (en pourparlers)".
La cattura viene descritta da diverse fonti, tra cui Carrey (1858): 279-280. Se le versioni più ufficiali descrivono in termini di rispetto il momento della cattura, una relazione anonima di un combattente, pubblicata sul Journal des débats politiques et littéraires del 27/7/1857Archiviato il 9 marzo 2016 in Internet Archive., segnala che "tutti i soldati gridavano: Largo alla regina di Parma! e facevano sul suo conto mille motteggi buoni e cattivi."