Géza Alföldy (Epigraphischen Studien, V, 1968, pp. 100ss.) e John Wilkes (Dalmatia, 1969, pp. 330-331), ripresi con cautela da Horster-Strobach-Heinrichs in PIR (2 ed.), VIII,1, (2009), T 19, ritengono che Tario fosse liburno a causa della presenza cospicua di Tarii nella zona (cfr. ad es. CILIII, 2877), ma Ronald Syme (The Roman Revolution, 1939, p. 362; Danubian papers, 1971, p. 119; Roman papers, I, 1971, p. 115, e VII, 1991, p. 637), sulla scia di Edmund Groag (RE IV A,2, 1932, Tarius 3, coll. 2320-2323) lo considera piceno sulla base delle proprietà di Tario e dell'origine celtica del nomen, forse a ragione considerando l'epoca ancora dominata da italici.
AE1936, 18: la lettura delle ll. 3-4 oscilla tra PRO PR(aetore) e PR(o)C(onsule) PR(ovinciae), ma questa seconda abbreviazione è molto insolita. Sulla questione vd. Ronald Syme, Danubian papers, 1971, p. 68, ma soprattutto Frédéric Hurlet, Le proconsul et le prince d'Auguste à Dioclétien, Bordeaux, 2006, pp. 87-88 e 138-140.
Cassio Dione, Storia Romana, LIV, 20, 3: il testo tràdito di Dione riporta in questo passo un improbabile Lucius Gaius, che è stato emendato da Ritterling in Lucius Tarius, accettato unanimemente e confermato da AE1936, 18.
Edmund Groag, RE IV A,2 (1932), coll. 2322-2323, riteneva che la Quinta riportata su CILVI, 37805 fosse la moglie di Tario chiamata dagli schiavi con il titolo onorifico di mater, ma la critica (ad es. Ronald Syme, The Roman Revolution, Oxford, 1939, p. 379, e Horster-Strobach-Heinrichs in PIR [2 ed.], VIII.1, T 19) rifiuta tale interpretazione, optando per quella più economica che vede in Quinta la madre di Tario.
Come testimoniano numerose anfore da vino marchiate con il suo nome: ad es. CILV, 8112 o CILIII, 12010.