Pietro Nenni (Italian Wikipedia)

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24emilia.com

adnkronos.com

anpi.it

archiviobiograficomovimentooperaio.org

  • Periodico della Consociazione repubblicana delle Marche, fondato ad Ancona nel 1870, primo direttore fu Domenico Barilari Archiviato il 1º dicembre 2017 in Internet Archive. (Venezia 1840 – Ancona 1904). Vedi Lucifero, un giornale della democrazia repubblicana, a cura di Giancarlo Castagnari e Nora Lipparoni, prefazione di Giovanni Spadolini, 1981, Ancona, Bagaloni Editore.

avantionline.it

  • «Chi non ha diritto di protestare è proprio l'Avanti! Esaltatore della guerra civile. Credevano forse in via San Damiano (la sede del quotidiano socialista, a Milano - N.d.E.) che si potesse seminare a piene mani l’odio contro gli interventisti e i patrioti, credevano che si potesse esaltare la dittatura del proletariato come redde rationem per chi aveva amato il proprio Paese, senza che la reazione fosse immediata e impetuosa? Alla rivoluzione come alla rivoluzione!»; cfr. "Il Giornale del Mattino", Bologna, 19 aprile 1919, citato in: Carlo Felici "La Grande Guerra. Il primo scontro della guerra civile" nella pagina web dell'Avanti! on line del 24 dicembre 2018.

bibliotecasalaborsa.it

camera.it

storia.camera.it

  • Vedi il verbale del suo interrogatorio reso il 26 giugno 1914: «Premetto che io, tanto nelle conferenze tenute che negli articoli scritti nel giornale "Il nuovo Lucifero" ho propugnato il concetto repubblicano ed ho anche detto che, come la storia ci ha ricordato la rivoluzione francese del 1789 per cui la società subì una trasformazione nella sua costituzione politica, così io prevedevo che doveva - in una epoca più o meno lontana - avere luogo un altro rivolgimento politico con l'avvento del proletariato. Dato il mio carattere vivace posso aver ecceduto in frasi alquanto grosse, tanto che subii dei procedimenti penali, specialmente per articoli sul "Lucifero" ma fui sempre prosciolto. Quanto ai fatti che si svolsero qui in Ancona dal 7 al 13 giugno volgente io darò conto giorno per giorno dell’opera mia. Nella mattina di domenica sette, quando Malatesta fu arrestato in Piazza Roma non mi ci trovai: ero in casa. Uscito nella stessa Piazza Roma che attraversai per recarmi alle poste seppi che era stato arrestato Malatesta e qualche altro. Di ritorno, pel Corso trovai l’avv. Marinelli e con lui mi recai alla Camera del Lavoro ove stavano circa 200 persone che si mostravano agitate per l’arresto di Malatesta. Marinelli propose nominarsi una commissione di cinque persone, con l’incarico di recarsi dal Questore all’oggetto di ottenere il rilascio degli altri. In questo momento entrò Malatesta nella Camera del Lavoro, e tutto finì: si decise poi di tenere un comizio privato a Villa Rossa, verso le ore 16 per protestare contro le compagnie di disciplina. Malatesta parlò contro l'"Avanti!" e poi parlarono diversi altri. Finito il comizio molti si allontanarono e altri si apprestavano a giocare alle bocce o alle carte, come ci accingevamo a fare anche io e altri amici. Ad un tratto intesi urli e schiamazzi nella sottostante via Torrioni; mi affacciai alla terrazza e vidi che i carabinieri respingevano verso Villa Rossa un centinaio di persone che volevano passare, che poi acconsentirono inquantoché sopraggiungevano altre. In questo momento furono scagliati da Villa Rossa pochi sassi e altri, credo in maggior copia, da persone che stavano sulla mura che è dietro Villa Rossa. A questo punto si intesero i colpi d'arma da fuoco sparati sulla strada dai carabinieri. Infatti portarono nella Villa un ferito o morto che fosse, tale Giambrignoni: io mandai subito a chiamare all'Ospedale Militare il Dr. Tacchini che lo visitò. Siccome sulle prime non rivelò tracce della ferita credette che fosse morto di un colpo. Noto che l'avv. Marinelli che era rimasto a Villa Rossa, appena vide che si scagliavano sassi, si precipitò nella via sottostante; cosa che feci anch'io dopo portato via il ferito Giambrignoni. Il tenente dei RR.CC. può dire che io feci opera di pacificazione, cercando di calmare gli animi eccitati e riuscendo ad allontanare i più riscaldati. Poi andai al cinematografo Goldoni ove già si era recata la folla e consigliai ai dirigenti di chiudere il cinematografo per evitare conflitti, lo feci poi anche al Caffè Garelli; quindi mi ritirai con mia madre. Giorno otto. Il lunedì mattina fu tenuta una riunione alla Camera del Lavoro, dico meglio la prima riunione venne tenuta la domenica sera e fu deciso lo sciopero generale, non so chi vi prese parte. Nel mattino di lunedì vi fu una riunione, alla quale io non partecipai, alla Camera del Lavoro, e fu confermata la deliberazione di sciopero generale. So dai giornali che vi intervenne Malatesta: non so se vi fu l’avv. Marinelli. Nelle prime ore del mattino venne a casa mia il sig. Nino Battistoni, inviato speciale del "Giornale del Mattino" di Bologna e di altri giornali, a chiedere notizie. Poi mi recai in Piazza Roma ove ci fu un comizio di protesta per i fatti della sera precedente. Io mi limitai a fare un discorso di compianto per le vittime e di protesta, come possono deporre il sig. Rovesti Archimede corrispondente della "Tribuna", Luzi Renato del "Corriere della Sera" e l’avv. Marche e tale Scoponi che va sempre con Rodolfo Gabani. Malatesta è vero consigliò che bisognava provvedersi di armi, aggiunse però che potevano e dovevano servire a suo tempo, cioè quando la rivoluzione si maturava. Parlarono il Pedrini e altri della Camera del Lavoro dicendo poche parole. Mentre aveva luogo il comizio, io mi accorsi che, dietro il pancone dove suona la musica, una massa di persone che aveva riconosciuto il delegato Carulli lo rincorreva. (A questo punto il Procuratore Generale, per ragioni di servizio ha dovuto assentarsi). L'avv. Marinelli che mi stava vicino, corse per impedire eccessi e non seppi altro. Nel pomeriggio dello stesso giorno otto, io mi trovavo in compagnia di Malatesta e dell’avv. De Ambris che volevamo condurre a visitare Villa Rossa: mentre percorrevamo Via Cialdini, incontrammo il Commissario di P.S. Frugiuele con la truppa, dal quale appresi che correva in Via Mazzini ove si tentava di svaligiare un negozio d’armi. Io allora pensai di ritornare per i miei passi, recarmi in Via Mazzini e persuadere quegli sconsigliati, che avevano già ferito un delegato di P.S. di desistere dal loro proposito. Infatti ottenni di passare attraverso i cordoni di truppa, seguito dal solo De Ambris e persuasi i tumultuanti ad allontanarsi con me verso Piazza Roma, ove parlammo De Ambris e io: raccomandai la calma perché non era possibile soverchiare la forza e quindi si sarebbero fatte altre vittime senza scopo alcuno. C’erano presenti il maestro Angelo Sorgoni, che mi venne a stringere la mano e Luigi Spotti. La sera stessa seppi dello svaligiamento compiuto dell'armeria Alfieri poco dopo il mio discorso, del che rimasi indignatissimo come possono dire l'avv. Marinelli e Renato Gigli. Verso le ore 23 andai alla stazione a ricevere l'On. Pirolini (Giovanni Battista Pirolini). Giorno 9. Il martedì ci siamo visti, la mattina, io, il Pirolini, Marinelli e qualche altro, abbiamo pensato di proporre che una Commissione si fosse recata dal Procuratore del Re per ottenere che si fosse fatta giustizia contro i carabinieri autori degli omicidi, e ottenuta una promessa formale se fosse cessato dallo sciopero dopo i funerali Questa proposta venne infatti fatta in Piazza Roma dall’On. Pirolini e accettata anche dall’on. Bocconi. Si oppose Malatesta dicendo che essi non volevano in galera nessuno e niente se ne fece. Il martedì nel pomeriggio ebbero luogo i funerali degli uccisi. Io mi trovavo con mia moglie davanti alle bare; giunti nelle vicinanze del Gambrinus avvenne un fuggi fuggi. Io ricoverai la mia signora impaurita nel portone di un palazzo di Via Mazzini; ma poi convinto che si trattava di un panico, la feci riuscire e ci avviammo al Corso quando udimmo, nello stesso Corso, degli spari. E allora credetti prudente condurre via mia moglie, che ricoverai semisvenuta in una casa dietro il Goldoni e poco dopo la condussi a casa ove trovai la mamma con la mia bambina. Io ebbi la convinzione che nessun colpo si era sparato dalla casa Marchetti ma che probabilmente qualcuno dalla strada, credendo che arrivasse la forza pubblica, aveva sparato un colpo, che si credette dalla folla, sparato dalla casa. Aggiungo che dopo accompagnata a casa la mia signora col sig. Nino Battistoni uscii e persuasi le persone, che stazionavano nelle vicinanze del palazzo donde si credeva partito il colpo, ad allontanarsi, perché io e l’avv. Giardini avremmo fatto una inchiesta per appurare i fatti. Giorno 10. Nella mattina di mercoledì fino alle 15 sono stato con l'avv. Marinelli in tipografia a preparare il giornale ove venne il Conte Perozzi il quale venne a domandare se si poteva fare una intesa coi repubblicani facenti capo all’on. Pacetti (Domenico Pacetti nacque ad Ancona il 21 ottobre 1857 e vi morì il 12 aprile 1926. Laureato in Giurisprudenza, fu insegnante di scuole superiori e avvocato. Cfr. il sito storico della Camera dei Deputati). Noi domandammo dell'On.le Pacetti, il quale ci fece rispondere che avrebbe convocato il suo Comitato, ma poi niente se ne fece. Nelle ore pomeridiane dello stesso giorno ci fu una riunione alla Camera del Lavoro; intervennero i componenti del Comitato Esecutivo nonché i rappresentanti dei vari partiti fra cui Marinelli, Malatesta e altri. Io, dopo aver protestato contro gli atti individuali di violenza che si andavano commettendo, proposi che si nominasse un Comitato di cinque persone che si assumesse la responsabilità del movimento, purché però le masse si mantenessero ubbidienti. Questa proposta venne appoggiata da Marinelli ma si opposero Malatesta e Ciardi dicendo che vi era la Commissione Esecutiva della Camera del Lavoro, cui spettava provvedere e la mia proposta fu bocciata. Giorno 11. Intanto il giovedì arrivavano alla Camera del Lavoro automobili dalla Romagna, cioè Rimini, Forlì e una da Foligno, annunziando che la rivoluzione era scoppiata a Rimini, che il generale Agliardi era stato fatto prigioniero, e che tale sorte era pure capitata al Prefetto di Ravenna; che era stata proclamata qui e lì la repubblica, che il movimento si estendeva in buona parte d’Italia, e che il Re era fuggito. Queste notizie naturalmente eccitarono gli animi e turbarono anche me; e allora ci fu alla Camera del Lavoro una riunione alla quale parteciparono: l'On. Bocconi, per i socialisti, io e Marinelli per i repubblicani ufficiali, Malatesta e altri per gli anarchici e un mazziniano che non ricordo. L'On. Bocconi propose che in seguito all'ordine della Confederazione generale del Lavoro, che aveva disposto la cessazione dello sciopero, si doveva riprendere il lavoro, proposta che quando si seppe fuori fece cattiva impressione e il Bocconi venne male accolto. Io invece dissi che, per solidarietà, non si potevano abbandonare quelli delle altre parti d’Italia, qualora fosse vero quanto si diceva sull'estendersi del movimento e quindi le nostre deliberazioni sulla cessazione o meno dello sciopero, dovevano essere subordinate agli accertamenti sul se vere o no le notizie come sopra pervenute. Per l’oggetto proposi che Bocconi telegrafasse a Roma a qualche suo collega e io sarei andato in Romagna per accertarmi ocularmente. La proposta fu accolta da tutti gli interessati all'adunanza predetta, e poi dal comizio che ne seguì. Nella sera non mi fu possibile trovare un'automobile. Venerdì 12. Venerdì mattina mi prestò l'automobile il conte Perozzi, e si decise di tenere un comizio alle 16, quando io sarei tornato dalla Romagna per decidere. Partiamo io, Giovanni Bitelli, un ferroviere della Fornace e il dr. Ugo Saltara; per evitare Case Bruciate ove si diceva che operava la forza pubblica, dovemmo andare pei monti e ci si guastò l'automobile; per la riparazione perdemmo tre ore a Pesaro. Tanto a Forlì che a Rimini trovammo che l'agitazione era finita. A Forlì salì sull'automobile l’On. Comandini che venne con noi in Ancona, ove giungemmo alle tre dopo mezzanotte. Giorno 13. Nella mattina di sabato, io presentai l'ordine del giorno per la cessazione dello sciopero, che fu accettato da tutti. Io, oltre le riunioni anzidette, non ho partecipato a qualsiasi riunione alla Camera del Lavoro né ho preso parte affatto ad alcuno dei provvedimenti da essa emessi nei giorni dell’agitazione. Solo una volta, a un comizio nella stessa Camera, ove un operaio propose che dovessero rimanere chiuse tutte le botteghe io mi opposi dicendo che bisognava lasciar modo ai cittadini di mangiare, e proposi anche che rimanessero aperti gli alberghi. Sapevo già che casotti daziari erano stati abbattuti, e che innanzi alla Camera del Lavoro, io vidi delle botti giovedì o venerdì, si faceva vendere il vino a cinque soldi il litro. Come seppi pure che quelli della Camera del Lavoro rilasciavano, a chi li chiedeva, dei lasciapassare perché si era diffusa la voce, ed era vero, che in alcuni posti non lasciavano passare. Non so che la Camera del Lavoro avesse fatto ordini di requisizione di grano od altro, né so che avesse dato ordine per mattazione di animali. Nel complesso credo di non aver commesso azioni criminose e mi dichiaro innocente. Nomino mio difensore l'avv. Augusto Giardini di qui.»

castelbolognese.org

chieracostui.com

  • Buozzi fu assegnato al confino a Montefalco in provincia di Perugia, ove rimase per due anni, prendendo alloggio in un piccolo stabile in prossimità delle mura urbiche. Sulla facciata è stata apposta una lapide commemorativa; cfr. sito web chieracostui.com. Di Vittorio fu assegnato al confino nell'isola di Ventotene. Cfr. Commissione di Foggia, ordinanza del 24.9.1941 contro Giuseppe Di Vittorio ("Combattente antifranchista in Spagna"). In: Adriano Dal Pont, Simonetta Carolini, L'Italia al confino 1926-1943. Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali dal novembre 1926 al luglio 1943, Milano 1983 (ANPPIA/La Pietra), vol. IV, p. 1599.

corriere.it

archiviostorico.corriere.it

domanisocialista.it

  • Leonzio, pp. 17-18, Cfr. capitolo III: Il periodo dell'esilio (1926 – 1943); 3 - La scissione riformista (1922), 4 – L'avvento del fascismo. Ferdinando Leonzio, SEGRETARI E LEADER DEL SOCIALISMO ITALIANO (PDF), in Domani Socialista; La piattaforma del Socialismo Italiano, 25 ottobre 2016. URL consultato il 12 novembre 2017.
  • Leonzio, p. 20, Cfr. capitolo III: Il periodo dell’esilio (1926 – 1943); 5 – Lo scioglimento dei partiti. Ferdinando Leonzio, SEGRETARI E LEADER DEL SOCIALISMO ITALIANO (PDF), in Domani Socialista; La piattaforma del Socialismo Italiano, 25 ottobre 2016. URL consultato il 12 novembre 2017.
  • Leonzio, pp. 20-21, Cfr. capitolo III: Il periodo dell’esilio (1926 – 1943); 5 – Lo scioglimento dei partiti. Ferdinando Leonzio, SEGRETARI E LEADER DEL SOCIALISMO ITALIANO (PDF), in Domani Socialista; La piattaforma del Socialismo Italiano, 25 ottobre 2016. URL consultato il 12 novembre 2017.
  • Leonzio, p. 25, Cfr. capitolo III: Il periodo dell’esilio (1926 – 1943); 3 – Il congresso di Grenoble. Ferdinando Leonzio, SEGRETARI E LEADER DEL SOCIALISMO ITALIANO (PDF), in Domani Socialista; La piattaforma del Socialismo Italiano, 25 ottobre 2016. URL consultato il 12 novembre 2017.

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  • Questo il testo completo dell'articolo di Pietro Nenni: VENTO DEL NORD - «Quando parlammo per la prima volta del vento del Nord, i pavidi, che si trovano sempre al di qua del loro tempo, alzarono la testa un poco sgomenti. Che voleva dire? Era un annuncio di guerra civile? Era un incitamento per una notte di San Bartolomeo? Era un appello al bolscevismo? / Era semplicemente un atto di fiducia nelle popolazioni che per essere state più lungamente sotto la dominazione nazifascista, dovevano essere all'avanguardia nella riscossa. Era il riconoscimento delle virtù civiche del nostro popolo, tanto più pronte ad esplodere quanto più lunga ed ermetica sia stata la compressione. Era anche un implicito omaggio alle forze organizzate del lavoro e alla loro disciplina rivoluzionaria. / Ed ecco il vento del Nord soffia sulla penisola, solleva i cuori, colloca l’Italia in una posizione di avanguardia. / Nelle ultime 48 ore le notizie dell’insurrezione e quelle della guerra si sono succedute con un ritmo vertiginoso. La guerra da Mantova dilagava verso Brescia e Verona, raggiunte e superate nel pomeriggio di ieri. L’insurrezione guadagnava Milano e da Torino si propagava a Genova. / Nell'ora in cui scriviamo tutta l’Alta Italia al di qua dell’Adige, è insorta dietro la guida dei partigiani. A Milano a Torino a Genova i Comitati di Liberazione hanno assunto il potere imponendo la resa dei tedeschi e incalzando le brigate nere fasciste in vittoriosi combattimenti di strada. / Sappiamo il prezzo della riscossa. A Bologna ha nome Giuseppe Bentivogli. Quali nomi porterà la testimonianza del sangue a Torino e Milano? La mano ci trema nel dare un dettaglio dell’insurrezione milanese. Ieri mattina alle cinque, secondo una segnalazione radiotelegrafica, il posto di lotta e di comando di Alessandro Pertini e dell’Esecutivo del nostro partito era circondato dai tedeschi e in grave pericolo. Nessuna notizia è più giunta in serata per dissipare la nostra inquietudine o per confermarla. Ma sappiamo, ahimè!, che ogni battaglia ha le sue vittime e verso di esse, oscure od illustri, sale la nostra riconoscenza. / Perché gli insorti del Nord hanno veramente, nelle ultime quarantotto ore, salvato l’Italia. Mentre a San Francisco, assente il nostro paese, si affrontano i problemi della pace, essi hanno fatto dell’ottima politica estera, facendo della buona politica interna, mostrando cioè che l’Italia antifascista e democratica non è il vaniloquio di pochi illusi o di pochi credenti, ma una forza reale con alla sua base la volontà l’energia il coraggio del popolo. / In verità il vento del Nord annuncia altre mete ancora oltre l’insurrezione nazionale contro i nazifascisti. Gli uomini che per diciotto mesi hanno cospirato nelle città, che per due lunghi inverni hanno dormito sulle montagne stringendo fra le mani un fucile, che escono dalle prigioni o tornano dai campi di concentramento, questi uomini reclamano, e all’occorrenza sono pronti ad imporre, non una rivoluzione di parole ma di cose. Per essi il culto della libertà non è una dilettantesca esasperazione dell’«io» demiurgico, ma sentimento di giustizia e di eguaglianza per sé e per tutti. Alla democrazia essi tendono non attraverso il diritto formale di vita, ma attraverso il diritto sostanziale dell’autogoverno e del controllo popolare. Non si appagheranno quindi di promesse, né di mezze misure. La rapidità stessa e l’implacabile rigore delle loro rappresaglie sono di per sé sole un indice della loro maturità, perché se la salvezza nel paese è nella riconciliazione dei suoi figli, alla riconciliazione si va non attraverso l’indulgenza e la clemenza, ma l’implacabile severità contro i responsabili della dittatura fascista e della guerra. / In codesta primavera della patria che consente tutte le speranze, c’è per noi un solo punto oscuro; si tratta di sapere se gli uomini che qui a Roma scotevano sgomenti il capo all’annuncio del vento del Nord, che vedevano sorgere dal passato l’ombra di Marat o quella di Lenin se qualcuno osava parlare di comitato di salute pubblica, che trovavano empio e demagogico il nostro grido: «tutto il potere ai Comitati di Liberazione», si tratta di sapere se questi uomini intenderanno o no la voce del Nord e sapranno adeguarsi ai tempi. Ad essi noi ripetiamo quello che ieri, da queste stesse colonne, dicevamo agli Alleati – Abbiate fiducia nel popolo, secondatene le aspirazioni, scuotete dalle ossa il torpore che vi stagna, rompete col passato, non fatevi trascinare, dirigete. / A queste condizioni oggi è finalmente possibile risollevare la nazione a dignità di vita nuova, nella concordia del più gran numero di cittadini. / Vento del Nord. / Vento di liberazione contro il nemico di fuori e contro quelli di dentro.» Cfr. il sito web dell'ANPI di Lissone

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  • Così Nenni rievocò il suo primo incontro con Rosselli, nel corso della famosa intervista rilasciata ad Oriana Fallaci: «Conobbi Carlo Rosselli, molti anni prima che i fascisti lo assassinassero in Francia con suo fratello. Fu nel 1925, dopo che avevo scritto ai miei compagni una lettera che sosteneva la necessità di dare un aspetto europeo alla nostra battaglia e non perdersi in fatti di natura anarchica come gli attentati. Una mattina uno sconosciuto bussò alla mia porta. Lo feci entrare e mi disse press'a poco così: "Sono Carlo Rosselli, professore all’università di Genova. Ho letto la sua lettera alla direzione del partito e l'ho apprezzata molto. Io sono ricco, non ho i problemi economici che ostacolano tanti di voi. Vengo a chiederle di lavorare insieme". Lavorammo insieme. Insieme fondammo "Quarto Stato", la rivista cui avrebbero collaborato taluni tra gli uomini più degni del futuro Partito d’azione». Cfr. Oriana Fallaci, Intervista con la storia, 1974, il cui testo è parzialmente pubblicato nel sito socialismo italiano 1892

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