"Il volgare pugliese o napoletano, benchè non riconosciuto dai dotti, fu resa lingua politica, pubblica e dotta, come lingua cortigiana ed ufficiale della Sicilia, come quella dei Veneziani, e divenne per 112 anni (1442-1554) linguaggio della regia cancelleria, del sovrano e delle assemble periodiche napoletane, che adombravano in tempo di tirannide la reppresentanza generale e commune d’una parte della nazione italiana." « La lingua napoletana divenuta aulica nella corte d’Aragona ». Il Propungatore Tomo XII, Parte II, pagine 32-34., su books.google.it.
Esempio di napoletano letterario in uso a Napoli nella seconda metà del XV secolo, pervenutoci attraverso i saggi di Giovanni Brancati, umanista di corte di Ferdinando I: «Ben so io esserno multe cose in latino dicte quale in vulgaro nostro o vero non se ponno per niente o ver non assai propriamente exprimere, quale son multi de animali quali noi havemo, molti de arbori quali fi’ al presente sono como dal principio foron chiamati; chosì de herbe, de medicine, de infirmitate, de metalle, de pietre et de gioie, essendono o ver per loro rarità o vero per sorte chon li primi lor nomi ad noi pervenute. […]». In quest'epoca, il napoletano letterario in uso alla cancelleria di corte, si presenta epurato di alcuni dei tratti più marcatamente locali, alleggeriti con l'ingresso di elementi assunti dalla tradizione letteraria toscana, considerata più prestigiosa. Emanuele Giordano, La politica culturale e linguistica del Regno di Napoli nel Quattrocento (PDF), su rivistamathera.it, Associazione Culturale ANTROS, 2018, pp. 69-70.
«…dopo la morte di Masaniello l'insurrezione popolare assunse toni più radicali, mentre il "popolo civile" ne perdeva il controllo e sorgevano dalla plebe nuovi capi, come l'Annese, che chiamando alla lotta le popolazioni delle province, diedero a essa un più largo respiro e un più preciso carattere antifeudale e antispagnolo, sino a proclamare la decadenza del dominio di Spagna e la costituzione della effimera Repubblica di Napoli…» da: Amalfi, Tommaso Aniello d', detto Masaniello, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 2, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1960. URL consultato il 27 maggio 2020.
Motto presunto e non ufficiale. Una leggenda vuole che il motto del regno fosse Noxias herbas (Le male erbe), scelto da Carlo I d'Angiò in riferimento al rastrello presente sullo stemma, che avrebbe simboleggiato la cacciata della "malerba" sveva. Questa ipotesi è scartata da Giovanni Antonio Summonte, che in Dell'Historia della città, e regno di Napoli, su books.google.it, 26 marzo 2015 (archiviato dall'url originale il 26 marzo 2015). (1675) spiega che il rastrello (che in realtà è un lambello) stava ad indicare che gli Angioini erano un ramo cadetto dei Capetingi, dai quali ereditarono lo stemma con i gigli d'oro.