Anche se il legame Paternò - Barcellona è documentato da molteplici fonti (quali studi antichi, enciclopedie ecc.) e, molti elementi (come lo stemma omonimo e pitture), portano alla medesima conclusione, la genealogia verificata dei Conti di Barcellona e di Besalù (Medieval Lands, Fundation for medieval genealogy) non menzionano nessun Robert d'Embrun e, per questo, non si può certificare il suo collegamento con questa casa sovrana.
Del 1168 è una lapide epigrafica, esistente nel Museo di Catania e scoperta nel 1737. La studiò a suo tempo Vito Amico con Giacinto Paternò Bonaiuto. Vito Amico nel 1757 ne riferì la scoperta nel "Lexicon siculum" trascrivendo le parole, poi tradotte dal Gioacchino Di Marzo nel "Dizionario topografico della Sicilia" del 1856 (vol. II, p. 322-323): «Tagliando una strada in Catania nell'anno 1730 al lato settentrionale del collegio della compagnia di Gesù, s'imbatterono gli operai in una lapide infranta, nella quale, recatami, lessi in grandi lettere gotiche « [...] DE PATERNIONE. MILITI. VIRO. ARMIS. EGREGIO. BV... RTANAE. COMITI. ROBERTI. FILIO. MATHILDIS. UXOR. ... POSUIT DIE VIII APRILIS ANNO M. C. LXVIII». Cioè: Constantino De Paternione Militi Viro Armis Egregio Bucherii et Partanae Comiti Roberti Filio Mathildis Uxor Moerens Posuit VIII Aprilis Anno MCLXVIII. "BV" fu interpretata BVCCHIERI piuttosto che Butere (cioè Butera) o Buxemi (cioè Buscemi), poiché i biografi del '600 (Scipione Paternò e Colonna, e P. Giuseppe Paternò), ricostruendo l'albero genealogico dei Paternò, avevano affermato che il primo Roberto Paternò, coetaneo del granconte Ruggero, era stato signore di Bucchieri (oggi Buccheri). Tuttavia i nuovi studi di Antonio Varvaro Bruno ricostruirono il senso della lapide così: «CONSTANTINO DE PARTENIONE MILITI VIRO ARMIS EGREGIO BVTERE CUM MARTANE COMITI ROBERTI FILIO MATHILDIS UXOR MOESTISSIMA POSUIT DIE VIII APRILIS ANNO M. C. LXVIII».
Guglielmo Bertrando di Provenza, insieme al fratello Goffredo, vengono citati, senza essere nominati, nel documento nº 659 del Cartoulaire de l'abbaye de Saint-Victor de Marseille tome II, del 1144, inerente ad una donazione fatta in favore dell'abbazia di San Vittorio di Marsiglia da suo padre, Folco Bertrando I, che si proclama proprietario di Forqualquier mentre le contee di Gap ed Embrun passarono per qualche tempo ai discendenti di Toda, per poi passare alla Casa Sabran e per poi ridividersi ancora. Quella di Gap ritornò agli eredi di Adelaide ed Ermengol IV, e quella di Embrun rimase ai Sabran.
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Vincenzo Castelli di Torremuzza, Fasti di Sicilia, Volume I, Pappalardo, 1820. URL consultato il 22 maggio 2023.
Il permesso fu concesso quando, nel 1763, Ignazio Paternò Castello, V Principe di Biscari mantenne per vari mesi ed a proprie spese (aprendo cioè i propri granai privati), l’intera cittadina di Catania colpita da una grave carestia., Palazzo Biscari - Catania, su turismoct.myhostingweb.com. URL consultato il 15 maggio 2023.
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(EN) Grand Chancellor, su Sovereign Order of Malta. URL consultato il 15 maggio 2023.
Il viceré Scimenez ottenne per la famiglia Paternò il perpetuo dominio di Minorca ( Filadelfo Mugnos, Paternò, in Theatro Genealogico, 1650, pp. 20-28.
Cinque (Biscari, Carcaci, Capizzi, Manchi e Marianopoli, Villasmundo), contro i quattro dei Branciforte, tre dei Gravina e dei Ventimiglia, e due dei Moncada. Vedi Paternò, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. e F. Carcaci, I Paternò di Sicilia, p. XXIII.
I più antichi documenti riguardanti la famiglia sono nove del 1083, 1106, 1113, 1122, 1134, 1143, 1148, 1193 e 1197. I documenti del 1083 e 1113 sono bolle apostoliche di papa Gregorio VII e papa Pasquale II indirizzate all’arcivescovo di Palermo, Gualterio Paternò, figlio di Roberto d’Embrun e attestante il riconoscimento dei diritti della diocesi di Palermo. Nei successivi appaiono citati i primi e più immediati discendenti del capostipite della Casa Paternò. Per esempio, nei documenti del 1143 e 1148, Costantino II Paternò (pronipote di Roberto d'Embrum) fa da testimone in almeno due diplomi di Simone il Guiscardo. Simone era un parente di Costantino II, in quanto nato dalle seconde nozze di Flandina d'Altavilla, suocera di Roberto d'Embrun, con Enrico del Vasto. A questi documenti vanno aggiunti un documento del 1168 che testimonia del matrimonio fra Costantino II e Matilde Avenel, nipote del gran conte Ruggero il Normanno, nonché un documento non pervenuto in versione originale, ma riportato da Antonino Amico nel XVII sec. e che consiste nel Rollo della Confraternita dei Nobili, eretta dal Conte d’Embrun, dove fra i primi viene citato Roberto d’Embrun Paternò stesso. Questo documento è, a sua volta, ripreso in: Raffaele Starrabba, "I diplomi della cattedrale di Messina", (Raccolti da Antonino Amico ed illustrati da Raffaele Starrabba), Palermo, 1888. Cfr anche: Paternò, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
I Paternò - Linee Antiche, su web.archive.org, 21 settembre 2010. URL consultato il 19 maggio 2023 (archiviato dall'url originale il 21 settembre 2010).
Chiesa della Santissima Trinità eretta da Agata Paternò nel 1300 (Francesco Privitera, Epitome della vita, martirio e miracoli dell’invitta, nobilissima e generosa sposa di Giesù S. Agata vergine e martire, Catania, Paolo Bisagni, 1690, p. 214); monastero di Santa Chiara fondato nel 1563 dal barone Antonio Paternò di Oscina; il convento di Santa Caterina da Siena, fondato nel 1603 con il lascito di Margherita Paternò; il monastero di San Salvatore, fondato nel 1622 da Caterina Paternò di San Nicola; il convento di Santa Maria la Grande ricostruito nel 1640 da G. Battista Paternò (con annessa chiesa la cui facciata fu fatta edificare dal duca di Carcaci, Vincenzo Paternò Castello); la chiesa e il convento dei Chierici regolari minori, fondati nel 1642 con il lascito di G. B. Paternò; la chiesa e il convento dei Padri minori riformati, beneficiata da Alvaro Paternò Manganelli e poi da Francesco Paternò Castello, duca di Carcaci.